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Storia delle Indulgenze
In un primo periodo, che va dall’età apostolica all’VIII sec., le indulgenze sono uno sconto della pena canonica prevista per ottenere l’assoluzione dei peccati e sono concesse attraverso le suppliche dei martiri. Questi, in punto di morte, trasmettevano degli scritti chiamati supplices belli Martyrum ai vescovi affinché venisse rimessa la pena canonica di questo o quel penitente. L’indulgenza, in questa fase, poteva essere concessa a singole persone solo in virtù del sacrificio del martire.
Allora, infatti, il sacramento della confessione prevedeva un lungo e penoso cammino di penitenza pubblica, la quale doveva essere scontata prima dell’assoluzione dei peccati. Alcuni vescovi però, di loro iniziativa, cominciarono a mitigare la penitenza indipendentemente dal sacrificio dei martiri.
In un secondo periodo, che va dall’VIII sec. al XIV, si introduce l’usanza di dare l’indulgenza scambiando la pena canonica per i peccati confessati, di solito piuttosto gravosa, in un’opera più leggera.
Tra il VII e l’VIII sec. la penitenza pubblica scompare e le succede la penitenza privata e nascosta, decisa dal confessore. Questa deve essere eseguita dopo e non prima (come nella penitenza pubblica) aver ricevuto l’assoluzione dei peccati commessi.
Intanto papi e vescovi, fuori di confessione, continuano a commutare queste penitenze in altre meno pesanti oppure più pesanti, ma meno lunghe. Si tratta, di solito, di preghiere, di elemosine ai poveri, di pellegrinaggi…
L’indulgenza propriamente detta appare nel secolo XI, quando Papi e vescovi non si limitano più a commutare penitenze già fissate, ma rimettono una parte della pena temporale indistintamente a tutti quelli che compivano una determinata azione; condizioni preliminari erano tuttavia, come sempre, il pentimento e la confessione dei peccati. A partire da questo periodo, l’indulgenza viene accordata come incoraggiamento e premio di un’opera di pietà (anche piccola), come la visita di una chiesa appena consacrata, un’elemosina ai poveri o a un monastero.
A partire dal XII sec. le concessioni delle indulgenze aumentarono considerevolmente. Non è da escludere che talvolta qualcuna possa essere stata suggerita da finalità meno buone, giacché il penitente, suggerito dall’indulgenza, era solito fare un’offerta volontaria in denaro. Si noti però che i rescritti di esse, anteriori al sinodo Lateranense, raramente accennano ad obblighi di elemosine; né le cronache di quell’epoca registrano abusi di tal genere.
L’indulgenza plenaria è concessa nel 1300 da Bonifacio VIII a quanti, contriti e confessati, abbiano vistato le Basiliche di San Pietro e San Paolo (per 30 giorni se romano, per 15 giorni se pellegrini). Il Papa stabilisce anche che quest’indulgenza plenaria generale possa essere lucrata a ogni fine secolo. Questa grande indulgenza riscosse moltissimi consensi da parte di tutti i fedeli cristiani.
Successivamente papa Clemente VI nel 1343 fissò il Giubileo ogni 50 anni; Urbano VI nel 1378 ogni 33 anni, per commemorare gli anni di Gesù Cristo, e Paolo III nel 1475 ogni 25 anni.
Gregorio XIII nel 1575, al termine del Giubileo romano, estese per la prima volta alla Chiesa universale il perdono, per la durata di sei mesi, in favore di chi non aveva potuto recarsi a Roma.
Nel 1925 Pio XI ampliò questo beneficio a un anno intero, concedendolo anche a chi aveva lucrato le indulgenze giubilari a Roma.
Nel terzo periodo, che va dal XIV al XVI, l’uso di concedere l’indulgenza si diffonde. Si introduce la possibilità di ottenerle con offerte in denaro, definite oblationes, che servono a sovvenzionare opere di apostolato.
Il popolo cominciò però a pensare che l’indulgenza non liberasse solo dalla pena temporale, ma anche dalla colpa, e che dunque bastasse lucrarla per ottenere anche la remissione dei peccati. Questa errata convinzione contribuì a moltiplicare gli abusi arrivando a ridurre l’elargizione delle indulgenze a un’operazione finanziaria.
Questi abusi portarono Martin Lutero alla ribellione contro la Santa Sede. Con il Concilio di Trento (1545 – 1563) si corressero gli abusi stabilendo che il tesoro delle indulgenze fosse offerto ai fedeli piamente, santamente e integralmente, affinché tutti possano veramente comprendere che tali tesori celesti della Chiesa sono dispensati non per trarne guadagno ma per devozione.
Il desiderio di avere delle indulgenze e l’ambizione di poterne offrire di più delle altre chiese, indusse persone ignoranti o di poca coscienza a inventare scritti vescovili o papali con i quali venivano concesse. Gli abusi che sono rinfacciati contro l’uso cattolico delle indulgenze in quel periodo storico riguardano due elementi:
l’idea (errata) che la remissione delle pena temporale sciogliesse anche dalla colpa sostituendo la confessione sacramentale, e le collette di denaro applicate alle indulgenze. La Chiesa ribadì sempre la distinzione tra remissione della pena temporale tramite l’indulgenza e la previa e necessaria confessione sacramentale. Nel 1450, al Concilio di Magdeburgo, il Legato pontificio, cardinale Nicolò de Cusa, condannò espressamente coloro che predicavano che l’indulgenza esentava il fedele dalla confessione.
Per quanto riguarda l’altro abuso, quello delle collette in denaro, esso fu legato alle bramosie di principi, re, e vescovi, i quali pretesero il diritto di prelevare quote notevoli dalle somme raccolte dai quaestores, coloro che erano incaricati di notificare le indulgenze e di raccogliere le elemosine, visto che erano state racimolate nei loro territori. Il sacerdote invitava i fedeli all’acquisto dell’indulgenza, il quaestor riscuoteva il denaro pretendendo a volte offerte esagerate anche da chi ne era esentato e spesso enunciava falsi principi. Contro tutto ciò si levò non solo la protesta di Martin Lutero, ma anche e soprattutto la denuncia di tante persone sante e autorevoli. Nel Concilio di Trento per mettere fine a questi disordini furono proibite le questue e aboliti i quaestores d’indulgenze.
Il doveroso, se pur breve ricordo dei periodi in cui fiorirono commerci illeciti e abusi – dovuti all’errata applicazione delle indulgenze – non deve farci dimenticare che dalle offerte indulgenziali ricevettero aiuto e sussistenza opere di pubblica utilità come ospedali, ricoveri, scuole, ospizi di pellegrini; grazie a queste collette furono costruiti anche argini, ponti e strade.
Nel quarto periodo, che va dal XVI sec. ai nostri giorni, i Papi hanno regolato la concessione delle indulgenze, stabilendone il numero e l’autenticità. L’ultima riforma è di Paolo VI, che ha semplificato le indulgenze abolendo, per quelle parziali, la determinazione temporale.
Passata l’epoca degli abusi nelle indulgenze, ritorna essenziale l’aspetto del pentimento e della conversione del fedele. Oggi la Chiesa precisa che non esiste automatismo alcuno che permetta di ottenere l’indulgenza senza una vera conversione, un sincero distacco dal peccato e un vero pentimento dei peccati commessi e confessati. Il perdono concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un rinnovamento della propria esistenza (Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, 1998). L’indulgenza plenaria esige il totale ripudio di ogni affetto al peccato, anche semplicemente veniale: è quindi incitamento a impegnarsi nel modo migliore per fuggire il peccato. Essa esige inoltre l’uso fruttuoso della Penitenza e della Santissima Eucarestia.
(Luigi De Magistris, "Il dono dell’indulgenza", in "L’Osservatore Romano", 24 febbraio 1999).