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Mosso – marzo 2014
Don Carlo Maria Rovagnati
1. Quale è lo stato "naturale"
dell’uomo:
Vivere o morire?
Il titolo porta già in sé delle provocazioni. La morte è un fatto naturale? E’ una condanna di Dio? E’ un destino che incombe sull’uomo? Come dobbiamo intendere questa morte?
Nel pensare comune, si va verso un orientamento che ci porta a definire la morte come "una condanna di Dio", come "un destino che incombe sulla vita dell’uomo".
In questa meditazione noi faremo una proposta che rispecchi la verità. Ma qual è la verità?
Anche il sottotitolo presenta una provocazione, che ci porterà a comprendere "Qual è lo stato naturale dell’uomo: vivere o morire?". Per "stato naturale dell’uomo" si intende che, quando Dio ha fatto l’uomo e l’ha messo sulla terra, come lo ha pensato? Come un essere che non doveva morire o come un essere che comunque prima o poi avrebbe vissuto la morte fisica? Ma, allora, la morte, nel progetto di Dio, che posto occupa? Per capire questo dobbiamo farci un’altra domanda.
In questo ci aiuta il testo del Qoèlet, che parte con l’affermazione: "Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole". Basterebbe questa frase!
Ma voi direte: Cosa c’entra?
Se noi andiamo avanti nel testo, Qoèlet sviluppa questa affermazione e ci fa vedere come l’uomo sia continuamente affannato per cercare di "realizzare" sulla terra. Ma, dentro a questa fatica umana, che Qoèlet definisce "vanità delle vanità", c’è un principio di fondo e, cioè, che l’uomo vorrebbe tentare di rendere assoluta la sua esistenza terrena.
L’uomo, allora, volendo ridurre la sua esistenza sulla terra ad un assoluto, si dà da fare affinché questa realtà terrena non gli sfugga mai di mano e così vive nella trepidazione continua, cercando qualcosa che renda perenne la sua esperienza e le dia sicurezza.
Ma l’esistenza terrena può diventare assoluta? No!
La realtà terrena, che diventa assoluta, è idolatria, perché non c’è niente di assoluto al di fuori di Dio. Per questo motivo, l’idea di trasformare la vita terrena in un assoluto, è un pensiero idolatra. Ma questo non dal punto di vista religioso, ma dal punto di vista umano, perché nel dire "pensiero idolatra" definiamo una realtà umana che è sinonimo di "impossibilità, inconsistenza". Noi sappiamo che il concetto di idolatria, nell’Antico Testamento, comprende la presenza di idoli inventati dall’uomo, di divinità che non esistono.
Ecco perché il tentativo dell’uomo di rendere assoluta la sua realtà terrena è un tentativo idolatra perché non potrà mai esistere che ciò che è terreno, possa essere eterno, vedi Qoèlet:" Vanità delle vanità, tutto è vanità"! Se l’uomo insiste nell’affermare che questa realtà terrena può trasformarsi in assoluto, è ovvio che, nell’uomo, non ci può stare il concetto della morte, poiché essa rende vano il suo tentativo di far diventare eterna la vita. Ma, allora, chi sembra strapparlo da questa esistenza? Dio, quindi la morte che diventa un castigo divino. Ma la morte non è questo! E’, invece, l’illusione dell’uomo che vorrebbe rendere assoluta la sua realtà terrena.
Dio cosa pensa invece? Che l’uomo è fatto per la sua vita sulla terra, ma non intesa come assoluta. Essa è solo un cammino di preparazione verso un altro stadio, in cui l’uomo può arrivare a godere, invece, la pienezza. Nel progetto di Dio, è compresa la necessità che questa vita finisca, altrimenti l’uomo non entrerà mai nell’assoluto.
La morte, perciò, intesa come morte fisica, è un evento naturale che fa parte dell’esistenza dell’essere umano, il cui destino reale si compie nel pervenire all’assoluto.
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Il fine ultimo dell’uomo, quindi, non è la vita terrena ed è un controsenso la mentalità che, in noi, demonizza la morte, invece di considerarla come la fine naturale del nostro cammino sulla terra.
La morte non è una condanna, sarebbe castigo se l’uomo non potesse morire perché gli sarebbe preclusa la sua pienezza, l’assoluto, l’eternità.
Quindi vedete che questo concetto è da capovolgere: la morte non è condanna, ma passaggio finale in cui l’uomo potrà finalmente vivere l’incondizionato, la totalità, per sempre.
E, nell’assoluto, non esiste più la "vanità delle vanità" di Qoèlet, tutto è consistenza, immortalità.
La vanità è solo nel mondo ed ogni tentativo umano di far diventare la terra un qualcosa che non finisce, è sforzo inutile, perché non si avvererà mai.
Ricordiamo come questo concetto dell’uomo, che vuole a tutti i costi far diventare assoluta la terra, viene ripreso da Gesù, che lo porta a compimento, raccontandoci la parabola di quel tale che, riempiti tutti i magazzini nuovi con le sue ricchezze, esclama: "Oh, finalmente…Gioisci, ora, anima mia, sta tranquilla che per lunghissimi anni non ti mancherà nulla…mangia, bevi, godi…" …e dall’alto una voce: "Stolto, questa notte morirai!", dove il problema non è da identificare sotto il profilo del castigo, come di solito viene interpretata questa parabola!
L’importante è identificare la verità che Gesù ha voluto portare a compimento e cioè che questa vita sulla terra non può diventare eterna per l’uomo.
E’ terribile, sotto questo profilo, la finezza di Qoèlet quando descrive la relatività della condizione umana e dice: "Una nazione se ne va, un’altra arriva…il sole sorge, il sole tramonta…tutti i fiumi scorrono verso il mare" dove viene sottolineato il pensiero: "Ma non capite che tutto muta?
Tutto scorre, tutto cambia… Che nulla può essere dischiarato assoluto su questa terra? ...Perché l’assoluto è uno solo! "
Ecco allora la difficoltà che gli uomini incontrano quando devono trattare o parlare della morte. Dobbiamo arrivare a capire che la morte fisica è un dato naturale, che noi non siamo fatti per essere assoluti su questa terra, ma, attenzione, non per castigo! La morte non è una punizione…e il fatto che la nostra vita terrena abbia un termine, è proprio nella struttura dell’uomo, perché Dio lo ha pensato così, sulla terra, per un periodo di tempo, affinché poi potesse passare all’eternità, all’assoluto. L’essere umano può vivere, sulla terra, il relativo non l’assoluto, anche se, di sicuro, questa cosa non ci è gradita, perché noi facciamo un’ulteriore confusione, leghiamo il concetto di "morte" alle modalità della morte.
Queste modalità fanno parte di un altro discorso e non sono determinate da Dio. Deve esserci chiaro che Egli ha semplicemente stabilito che la natura umana comporta la fine dell’esperienza terrena. Per arrivare qui, però, dobbiamo aver compreso il pensiero di Dio, quindi aver capito che l’uomo è fatto per l’assoluto e che quell’assoluto è solamente Lui. Se andiamo a rileggere le parti dell’Antico Testamento in cui ci viene rappresentata la morte, ci accorgiamo che sono pagine che ci lasciano stupiti. Prendiamo in esame la morte di Abramo e come ci viene descritta: "L’intera durata della vita di Abramo fu di 175 anni; poi egli spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, si riunì ai suoi antenati" Sentite il concetto di morte? Non ha nulla di tragico e di terribile!
Un altro passaggio della morte nella Bibbia, che questa volta riguarda Giacobbe, giunto ormai alla fine della sua esistenza: "Io sto per essere riunito ai miei antenati. Seppellitemi presso i miei padri… Quando egli ebbe terminato di dare questi ordini ai figli, ritrasse i piedi, spirò e fu riunito ai suoi antenati", ma la cosa particolare è che Giacobbe, prima, riunisce i figli attorno al letto, dà loro la sua benedizione ed annuncia loro cosa accadrà dopo la sua morte.
Prendiamo in esame ancora un’altra morte, quella di Giuseppe: "Egli fece giurare ai figli d’Israele: Dio verrà certo a visitarvi, allora voi porterete via dall’Egitto le mie ossa…. E, dopo aver detto queste parole ai suoi fratelli, Giuseppe morì all’età di 110 anni".
Stessa cosa per Giosuè e anche per Davide.
La scelta di questi brani serve per farvi capire che il concetto di morte, già nell’Antico Testamento, era un fatto naturale, il momento in cui ci si univa agli antenati e che veniva vissuto come un passaggio sereno, la fine di un’esperienza che continuava in unione con gli antenati.
Certo, allora non si parlava ancora di resurrezione, il che avverrà nel dopo Gesù, ma era un’ispirazione che portava ad intendere la morte come un trapasso che apriva le porte ad un’altra esistenza, ad una nuova vita.
Pensiamo a Mosè. Egli è morto sul monte, da solo… e poi Elia, che "viene rapito da un carro di fuoco". Interessante la simbologia del carro di fuoco, dove il "fuoco" rappresenta Dio, quindi un Elia andato in Dio.
Cosa significano queste cose? Che la morte già allora aveva il significato di apertura ad un’altra vita.
Non si riusciva a definirla bene, ma era chiaro il concetto che l’uomo passava dal relativo all’assoluto, a Dio. Nell’antichità, quindi, la morte era vista nel modo giusto, secondo il disegno divino, perché l’uomo deve morire, non può trasformare in assoluta la sua vita terrena. Ricordiamo, in Genesi, un passaggio del capitolo III, in cui si parla del peccato, che, però, va capito secondo la giusta chiave di lettura. Dio ricorda all’uomo: "Con il sudore del tuo volto, mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto, polvere tu sei, in polvere ritornerai". Ma, attenzione, cosa intendeva Dio con queste parole? "Stai attento a come vivi questa vita terrena, che non può diventare l’assoluto". Infatti esse sono inserite nel contesto della tentazione del serpente, dove l’uomo disobbedisce a Dio, pensando di diventare come Lui è.
Ma Dio dice: "No, tu non potrai mai essere questo, l’esperienza che tu vivi, in terra, è una realtà transitoria"
Quindi il vero problema non è più morire o non morire, ma come viviamo la nostra vita di ogni giorno, perché da questo dipenderà il passaggio che dovremo per forza fare con la morte.
Quando Gesù ci porterà a riflettere sulla morte, ci farà capire alcune cose importanti e cioè che la morte ci aprirà le porte verso un mondo migliore, ma tutto dipenderà da cosa abbiamo fatto sulla terra, da come avremo trattato la terra e la nostra esistenza quaggiù.
Possiamo anche ricordare la parabola, molto chiara se non viene intesa in senso moralistico, del ricco "che vestiva di porpora e di bisso" e del povero Lazzaro. Tutti e due devono, ad un certo punto, fare i conti con la morte. Il ricco che godeva e banchettava lautamente, credeva che la sua vita terrena fosse eterna. Purtroppo, però, si accorge dell’errore fatto quando la morte lo introduce nella realtà dell’assoluto e si ritrova a comprendere che sarà condannato per sempre.
Quindi la morte, intesa come fatto naturale, non è un castigo di Dio, un destino che incombe sull’uomo, è un’espressione della natura stessa dell’uomo.
L’essere umano è fatto per stare sulla terra, ma deve averne ben chiara la sua relatività e, capirlo, è fondamentale. Se questo concetto non è presente, è comprensibile che la maggioranza della persone intenda la morte come una condanna, un destino.
Spesso si sente dire: "E’ morta quella persona". Commento: "Eh, sì era il suo destino!" … Ma come "il suo destino"? Il "destino" è una cosa brutta, che grava su di noi, davanti al quale non possiamo fare niente!
La morte non è un destino, è un dato naturale, il che è diverso. L’uomo è chiamato a vivere tenendo presente questo, che, nel suo "essere uomo", la morte c’è e che lui la deve prendere in considerazione.
Ma questo non deve diventare un fatto negativo, quanto piuttosto la comprensione della logica relatività della vita.
Il nostro obiettivo deve essere un altro: arrivare a quella "porta" famosa attraverso la quale passeremo per giungere all’assoluto, ciò a cui in realtà noi tendiamo.
Adesso possiamo capire le parole di Gesù, quando istruisce i suoi discepoli: "Non affannatevi per ciò che mangerete, berrete, per come vestirete… per il vostro domani".
Ora può esserci chiaro il perché non dobbiamo affannarci! Dentro a questo affanno, c’è la pretesa di rendere assoluta la nostra vita….come se l’intero nostro esistere dipendesse solamente da questa esperienza terrena. Infatti l’affanno inutile, di cui parla Gesù, riguarda proprio le cose di questa vita: mangiare, bere, vestire, il domani. E, per farci capire meglio la cosa, ci porta la famosa immagine degli uccelli del cielo. Secondo voi, gli uccelli del cielo sono preoccupati perché devono morire? Assolutamente no!
Anzi, a rischio di essere presi per pazzi da qualcuno, il momento della morte dovrebbe essere aspettato come lo è stato per i patriarchi, che desideravano "unirsi ai loro antenati" …Oggi noi possiamo aggiungere "per entrare nell’assoluto", quindi non più la paura della morte, ma la certezza di raggiungere un mondo di pace in Dio, un assoluto di pace che la terra non potrà mai dare, una garanzia per sempre.
E’ certo, comunque, che se noi non abbiamo dentro questa chiarezza che ci fa desiderare la pienezza per sempre, è chiaro che la morte non potrà essere per noi benefica. Allora cadremo nella tentazione di dire: "La morte è una sfortuna, una disgrazia, un destino che incombe… Dio che castiga" e questo è molto triste! Come è possibile pensare ad un Dio che ci punisce con la morte? Come può un Dio che è pienezza di vita, che è solo vita ed amore, divertirsi a castigare gli uomini con la morte? Ma dove sta scritto? Chi mai ha inventato questa cosa?
Il Libro della Sapienza ci riporta delle parole splendide: "Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto ad immagine della propria natura, ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno l’esperienza coloro che vi appartengono" …qui, però, c’è già un salto ulteriore e adesso vedremo qual è.
Prima, però, notiamo che il concetto di morte come castigo divino, è già superato fin dai tempi della Sapienza. Non esiste che Dio ci castighi con la morte… se non presso gli idolatri!
Nell’idolatria, infatti, c’è questa convinzione. Se ricordate la famosa guerra degli dei, nella mitologia greca, essi seminavano la morte tra gli uomini, per vendicarsi di fantomatici affronti.
Ma questo stava nell’idolatria, non nel concetto del Dio Unico. La Sapienza riscatta questa visione errata e dice: "Non se ne parla neanche! Dio è solamente sorgente di vita, non può seminare la morte. Questa morte di cui parliamo, è la morte naturale e, secondo Dio, non rappresenta il castigo dell’essere umano, ma il portarlo al compimento di un tempo stabilito".
Tempo stabilito, in che senso? Nel senso che l’uomo, nel suo cammino terreno, matura questo momento in cui può finalmente entrare nell’assoluto.
Sull’argomento sarebbe interessante leggere i primi tre o quattro capitoli della Sapienza, in cui viene trattata questa visione di un tempo della vita terrena che ci è dato per entrare poi nell’eternità. La Sapienza dice:
"Allora, quando un uomo muore, finisce la sua vita terrena, significa che ha maturato il suo tempo, quindi può entrare nell’assoluto" perciò Dio non è mai l’autore della morte.
Adesso facciamo, però, un altro passaggio. Fino ad ora abbiamo parlato della morte fisica, ma, se andiamo a rileggere il testo di Genesi, sembra quasi che venga affermato il contrario di quello che abbiamo detto poco fa.
Infatti è Dio stesso che dice: "Se mangerete i frutti dell’albero della conoscenza del Bene e del Male, morirete".
Ma come? Se Dio non semina la morte come mai dice "Se disobbedite alla Mia parola, morirete"?
Allora Dio li condanna?
Cerchiamo di capire bene, perché adesso entreremo in un altro aspetto della morte. Di per sé, la Scrittura non parla poi molto della morte fisica, perché, dà per scontata la naturalità di questa morte, cosicché non c’è bisogno di trattarne diffusamente.
Nella Scrittura viene sottolineato con forza un altro tipo di morte, quella per cui Gesù è venuto in terra a "riscattarci".
Il concetto di morte, nella Scrittura, è uno solo: quello dell’uomo che non ha in sé o rifiuta la conoscenza di Dio.
Gesù viene non per non farci più morire fisicamente, infatti Lui stesso muore, ma viene per "riscattarci dalla morte biblica" cioè per riscattarci dal pericolo di perdere dentro di noi la conoscenza di Dio.
Quindi, secondo la Scrittura, l’uomo morto non è quello dentro alla bara; l’uomo morto è chi non ha più, in sé, la conoscenza del Padre e non riesce più a sentirne la presenza dentro di sé. Sarà quello che la Sapienza definirà come "l’uomo empio": chi non ha più la capacità di ascoltare, capire, sentire Dio dentro di sé!
La Bibbia ci dice in continuazione: "Di questa morte dovete avere paura, non della morte fisica".
L’Apocalisse lo dirà in altri termini: "Quello che dovete temere è la seconda morte", cioè lo stato dell’uomo che non può più raggiungere Dio, perché, dentro, non lo riconosce più.
E, come contrasto a questo, c’è Gesù che "bussa alla porta del cuore dell’uomo", a cui vuole riportare la conoscenza, cioè ridargli vita, altrimenti è morto.
La vera morte secondo la Bibbia, perciò, è quello stato, che si sperimenta sulla terra, da parte delle persone vive fisicamente, ma che sono morte dentro! E il pericolo sta proprio in questa morte, che non ci permette più di riconoscere la presenza di Dio, di non saper stare più con Dio.
Infatti nel mito di Adamo ed Eva…e ricordiamo sempre che è un mito, quindi un racconto che contiene una verità che noi dobbiamo scoprire! ... in questo mito, con la frase "Voi morirete", detta da Dio ai progenitori, non si intende che essi periranno fisicamente, ma che la loro "morte" sarà dentro!
Quindi essa si manifesterà con il non sentire più la vicinanza di Dio, anzi col cercare di allontanarlo. Infatti, quando Adamo ed Eva sentono "i passi di Dio", si nascondono alla Sua vista, ne hanno paura. Questa è la morte! Ora, tanto per tornare al titolo, lo stato naturale dell’uomo qual è? E’ vivere, perché l’uomo è fatto per la vita. E, guarda caso, proprio la morte fisica è una componente che serve all’uomo per "vivere", non per morire! L’unica cosa, che fa morire l’uomo, è l’assenza di Dio, perché muore dentro.
Purtroppo, se, da quella morte, non ci riscattiamo fino a quando siamo su questa terra, non ci riscatteremo più e sarà la "morte eterna", quella che siamo stati abituati a chiamare "inferno". Questa morte eterna è terribile perché è la coscienza dell’uomo che ha capito che, in Dio, sta la sua pienezza, la sua felicità: "Dì a Lazzaro che mi porti almeno una goccia d’acqua!"…ma, "Non è più possibile!" Ecco il tormento per sempre: questa è la morte eterna.
E questa morte ci viene presentata non nella figura di un uomo che non è consapevole di ciò che gli accade…ma in quella di un uomo che capisce benissimo, molto più di prima, quindi il tormento è maggiore. La parabola è chiarissima: il ricco è cosciente, capisce quello che gli è successo e sa anche di non poterlo più rimediare. Quindi questo è terribile, perché significa disperazione totale dell’uomo, disperazione eterna. Gesù ci aveva già istruiti su questo passaggio: "Attenti alla vera morte!", che non è quella fisica, ma quella profonda. Il nostro rapporto con Dio decide se siamo vivi o morti, il nostro stare con Lui decide se siamo viventi o cadaveri!
In questa luce, noi dobbiamo ricomprendere quegli altri segnali che Gesù lancerà, per farci capire questo concetto di "morte".
Ad esempio, quando risuscita Lazzaro. Noi potremmo chiederci: ma cosa vuol dire la resurrezione del Suo amico? Perché lo ha richiamato in vita? E lo stesso per il figlio della vedova di Naim e per la figlia di Giairo. Perché ha dato questi segni?
Il messaggio era uno solo: la morte fisica non è la fine, ma apre all’opera di Dio. Certo, in quel momento c’era bisogno di vederla, per poi poter conoscere l’evento della resurrezione di Lazzaro e dei due bambini…
Ma i segni compiuti volevano istruire la gente sul fatto che la morte fisica è solo un’apertura alla conoscenza perfetta dell’opera di Dio, che è solamente pienezza di vita: "Lazzaro, vieni fuori!" e l’amico ritorna, ma non perché tutti i morti potessero essere risuscitati da Gesù ….infatti non ne ha risuscitati altri! Quello era un messaggio, con cui Gesù voleva spiegare il senso della morte, che non è fine, ma apertura ad una vita per sempre, all’opera di Dio, al vivere l’opera di Dio!
Ecco perché Gesù richiama e riconsegna i tre, fisicamente morti, ai loro cari.
Ricordiamo la figlioletta di Giairo: "Datele da mangiare!" ordina Gesù. Può sembrare una battuta, ma è indicativa, nel senso che vuol dire: Sì, la morte fisica, ma, oltre a questa morte, c’è qualcosa d’altro, c’è l’esperienza della potenza di Dio che ci fa vivere. Dio può dare solamente la vita!
Questa "resurrezione" diventa una parabola con la quale Gesù ci istruisce su come dobbiamo guardare alla morte.
La tentazione di Giairo a credere diversamente, viene innescata dai servi che gli vengono incontro, cercando di convincerlo a non "disturbare più" il Maestro, "perché, tanto, tua figlia è morta", come a significare che, con la morte, era finito tutto e che Gesù non avrebbe più potuto fare nulla, perché neppure Dio avrebbe potuto rimediare!
Invece no! Gesù dice a Giairo: "Tu continua credere, perché la morte deve aprire all’opera di Dio!" ed infatti " Talità kum!" e la bambina si alza.
Ecco, allora, questo concetto importante di morte, che non è più quella fisica, ma la morte profonda dell’uomo. E’ l’uomo che, staccatosi da Dio, muore, non sente più dentro di sé, la Sua presenza: "Se mangerete del frutto di quell’albero, disobbedirete al mio comando e morirete".
Nel momento in cui ci stacchiamo da Dio, comincia per noi la vera morte.
Adesso possiamo ricomprendere il testo della Sapienza, che dice: "Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità -
E chi sono quelli che appartengono al demonio? Coloro che escludono dalla propria vita la presenza di Dio, sono i veri morti…ma, questa morte, non è ad opera di Dio, ma del diavolo.
Ecco, allora, i due concetti importanti che stanno alla base dell’argomento che stiamo cercando di svolgere, perché è su questa base, che noi possiamo fondare delle certezze o delle perplessità. Certezze se comprendiamo bene il progetto di Dio e perplessità, se non lo comprendiamo!
Premesso che non dobbiamo credere che essa sia un castigo, davanti alla morte fisica, si piange, si sente dolore, afflizione e questo non ci viene tolto. E’ bellissima l’immagine di Gesù che, di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro, piange…e noi ci stupiamo: "Guarda! Anche Gesù piange!"
Capire la morte fisica, non significa diventare indifferenti, freddi di fronte a questo evento! Il dolore rimane, fa parte della nostra umanità. Ma rimane anche la necessità di comprendere bene il concetto di morte. Di sicuro noi piangiamo, perché la dipartita della persona, che ci stava vicino, è come se avesse provocato uno strappo interiore. Però, attenzione, che non venga sollecitata in noi quella visione di morte che non sta nel progetto di Dio.
Si piange davanti alla morte fisica, ma non lo si fa davanti alla vera "morte". Piangiamo davanti ad un cadavere, ma non davanti ad uno che ha rinnegato Dio e magari ci viviamo insieme. Non siamo in grado di riconoscere la gravità della sua situazione, non stimola il nostro pianto perché non ci tocca, tocca solamente Dio. Siccome non siamo abituati ad aderire alla causa di Dio, è ovvio che questa morte non ci fa piangere, mentre la morte fisica tocca direttamente i nostri affetti, i nostri sentimenti.
Il problema sta proprio qui, perché quando tocca affetti e sentimenti diventa pericolosa perché il demonio si intromette facilmente: "Hai visto cosa ti ha fatto Dio? Credi pure in Dio e vedi come ti riduce! Adesso è inutile che piangi!!!..."
Anche Gesù piange, ma cerchiamo di capire bene il perché. Non sicuramente perché dà la colpa a Dio della morte dell’amico, anzi al contrario: piange perché questo stato è un male, che tocca le cose più preziose di un essere umano, i suoi affetti, i suoi legami.
Però Gesù non ha mai pensato che Dio avesse castigato Lazzaro o che lo avesse strappato ai suoi. Dio non può fare queste cose.
Quindi anche il dolore, che noi proviamo nel distacco di chi ci muore, dobbiamo fare attenzione che non ci stacchi da Dio! Questo è ciò a cui mira il demonio, la sua più grande soddisfazione!
La morte più tragica è comunque la morte vera, quella dell’uomo che rifiuta, che si allontana da Dio. Crollato in una situazione irreparabile, se non riesce a ritornare alla verità, per lui dovremo piangere due volte: primo perché la sua dipartita ci colpirà affettivamente, secondo, se non è ritornato al Padre, perché sarà morto per sempre.
Vedete allora che la morte non è una cosa banale né scontata. Dobbiamo imparare a guardarla con "verità", perché, altrimenti, essa rappresenta un grande pericolo per noi, non tanto perché dobbiamo venirne a contatto, ma per la nostra fede.
Il credente non dovrà mai cedere a queste grandi tentazioni che aleggiano attorno alla morte.
So che i cristiani lo fanno, perché, spesso manca la conoscenza, c’è molta ignoranza su questa visione delle cose, però dobbiamo dire che la morte dell’essere umano, che vive nella semplicità della fede, diventa simile a quella dei patriarchi. Chi vive questo stato, anche senza conoscere tante cose, sa dove sta andando e il distacco dalla vita diventa per lui una cosa positiva.
Egli non sentirà mai la ribellione a Dio, avrà solo la consapevolezza che la morte rappresenta finalmente il momento in cui può entrare nell’assoluto, unirsi al Padre. Nella sua semplicità, senza tante pretese, forse lo definirà un "entrare in Paradiso", ma è la stessa cosa: il godimento di Dio.
Persone così arrivano regolarmente a questo tipo di fine. Ciò ci consente di capire che chi vive in questa dimensione di fede, riesce a comprendere perfettamente il disegno di Dio. La morte non è una disgrazia, ma un passaggio atteso perché, dentro di noi, abbiamo un’esigenza più grande, più profonda: quella di essere "assoluti", nel modo giusto. E noi, assoluti, lo siamo quando approdiamo a Dio.
La morte, allora, vista in quest’ottica, non può venire considerata una disgrazia e riprenderemo questo argomento quando parleremo delle modalità con cui si verifica.
Per ora, cominciamo a mettere a posto questo concetto di fondo, perché è importante chiarire le basi, su cui poi sviluppare altri concetti. Se non facessimo così, continueremo, nelle nostre interpretazioni, a dare spazio alle ambiguità.
Quindi la morte va interpretata almeno su due piani: la morte fisica e l’altra, quella vera. La morte fisica è una cosa, la morte dell’uomo è un’altra.
Su questa base si sviluppa un risvolto importante e cioè che dobbiamo cercare di evitare il più possibile, la morte dell’uomo.
La morte fisica, oltre che inevitabile, è necessaria, perché l’essere umano deve arrivare alla sua pienezza.
L’altra morte è pericolosa perché non perdona, ma è possibile evitarla, perché dipende da noi, dal nostro credere in Dio, dalla nostra fede.
Qualcuno potrebbe chiedere: ma in fondo che differenza c’è tra dire "morte fisica" e "morte dell’uomo"? Quando avviene la morte fisica, non possiamo dire che è morto l’uomo; possiamo dire che quell’essere ha fatto il passaggio tra questa vita terrena e l’altra, dove ha incontrato l’assoluto, in cui continua a vivere!
Avete sentito la Sapienza? Dio ci ha fatti per l’incorruttibilità. Nella "Malattia" abbiamo visto che l’uomo non è solo fisicità, quindi non possiamo dire che, nella morte fisica, muore l’uomo! Egli rimane "uomo", finalmente incorruttibile!
Dobbiamo solo capire, e la Sapienza ce lo conferma, che il progetto di Dio è l’incorruttibilità dell’uomo.
Noi non siamo fatti per la morte, siamo fatti per la vita…però, è certo che possiamo anche morire! Ma succede quando ci allontaniamo da Dio ed è il vero inferno.
Questa è la prima parte di una riflessione fatta di concetti base molto importanti.
Risposte ad alcune domande
Posso accennare una prima risposta….
La attingo dalla Sapienza, che ci ha aperto uno spiraglio su questa tematica, il confronto tra l’empio ed il giusto: "Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo. Vecchiaia veneranda non è quella longeva – cioè non si calcola, né si misura con il numero degli anni – ma canizie per gli uomini è la saggezza. L’età senile dell’uomo è una vita senza macchia. Divenuto caro a Dio, fu amato da Dio e, poiché viveva in mezzo ai peccatori, fu portato altrove, fu rapito perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza e l’inganno non seducesse la sua anima. Poiché il fascino delle cose frivole oscura tutto ciò che è bello e il turbine della passione perverte un animo che è senza malizia. – e continua – Giunto in breve tempo alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta la sua vita. Era gradito al Signore, perciò si affrettò ad uscire dalla malvagità, ma la gente vede ma non capisce, non ha riflettuto su un fatto così importante. Grazia e misericordia sono per i giusti, protezione per i santi. Il giusto è diventato caro al Signore". Non so se avete intuito il concetto, l’indicazione è che la Sapienza ci porta a comprendere questa problematica in forza sempre di quel Dio che ha stabilito per l’uomo il raggiungimento dell’assoluto. Dove il problema vero è raggiungere l’assoluto.
L’intuizione della Sapienza è questa: che Dio è attento, in tutti i modi, a non farci perdere mai il senso dell’assoluto. Per ora ci fermiamo qui, perché vale la pena approfondire in seguito…Però sentite come viene letto quel passaggio molto interessante, che risale al 170 circa a.C.: "La gente vede, ma non capisce" …Come avete detto voi, ci colpisce la morte dei giovani, dei piccoli. E questo è il tema che cerca di sviluppare la Sapienza, perché, in quel brano, si parla della morte prematura…ed è a questo che daremo più avanti una risposta.
Sapienza ci dice che la gente non capisce, perché la maggioranza non ha più come criterio il raggiungimento dell’assoluto, ma vuole fare assoluta questa vita terrena. Ecco ciò che continua ad essere il fulcro del problema.
Altro discorso: qui stiamo parlando dell’uomo che, dentro di sé, gode
ancora dell’innocenza, quindi la sua morte non dipende da lui, è prematura.
Non è Dio che stabilisce che un piccolo debba morire per qualche terribile motivo…Ma proprio perché succede questo che Egli lo prende, perché lui non ha colpa.
Tu dici "faccio questo, quest’altro…" e io ti rispondo "Non basta…"
ma, dicendo questo, non intendo che non basta ciò che fai e che devi cercare di fare altre cose, attenzione! Il mio "non basta" significa che noi non possiamo convincere Dio con delle cose, se sono fatte solo esteriormente. Il "non basta" significa: Guarda che il Signore vuole il nostro cuore! Paradossalmente possiamo fare addirittura meno cose, ma è il nostro cuore che a Lui interessa. Questo è il punto. Tutto quello che facciamo, può essere solo esteriore… C’è quel bellissimo passaggio di Isaia, che affascina davvero, quando dice:" Il Signore è nauseato dai vostri incensi…Il Signore non vuole i vostri vitelli…Basta! -
Ecco perché non basta dire: io vado a messa, dico il rosario…faccio questo e quest’altro…Non basta in questo senso, non a livello di quantità, ma a livello di qualità! Noi le possiamo fare tutte queste cose, ma il Signore le gradisce, quando il nostro cuore è rivolto a Lui e lo facciamo solo per Lui. Scribi e farisei si sentono dire da Gesù: "Sì, sì nessuno può dire che non facciate l’elemosina…che non preghiate, addirittura vi mettete in piazza a pregare dove vi vedono tutti! …che non facciate il digiuno. Siete addirittura pronti a rimproverare i miei discepoli perché non lo fanno…Peccato che il vostro cuore è lontano da Dio, perciò siete ipocriti, sepolcri imbiancati! Non entrerete nel regno dei cieli" Sono parole terribili! Che tradotte significano: Non basta che facciate digiuno, che preghiate in continuazione, che facciate l’elemosina…Il Signore vuole vedere il vostro cuore.
E questa è la cosa più bella che il Signore poteva fare per noi! Pensate ad un Gesù che fosse venuto a dirci: Se vuoi raggiungere Dio, devi fare questo e quest’altro…devi fare…devi fare…devi fare… Allora avremmo potuto rispondergli: Ma, Signore, dove troviamo il tempo di fare tutte queste cose? ...Gesù non ci ha mai detto di "fare", ci ha detto solo di "essere"! Il nostro cuore è fondamentale. E poi qualunque cosa faremo sarà sufficiente! Quante cose? Quante ne potremo fare. Quali? Quelle che potremo fare. Ma tutte quelle che faremo, se col cuore, saranno gradite, perché il nostro cuore sarà convertito. Questo è ciò che intendo dire quando esclamo : Non basta…
Anche qui, attenti! Non è una questione fisiologica. Se sei sulla terra, devi
mangiare, devi bere , devi vestirti. Il problema è più a fondo: "Non affannatevi". Si parla della struttura del nostro cuore: nessuna di queste cose, dovrà mai condizionarci, per nessuna ragione. Così siamo liberi! E non dobbiamo neppure diventare degli eroi del deserto! L’asceta di turno che dice: "Io ce la faccio anche a vivere senza mangiare", ma non esiste!
Dobbiamo mangiare perché siamo uomini, apparteniamo alla terra. Il problema è quello che noi abbiamo dentro. D’altra parte Gesù lo ha detto: "Io vi mando, ma voi portatevi solo il bastone da viaggio…tutto il resto non vi mancherà" Ma per fare questo, dobbiamo essere liberi dentro! Arrivare al distacco, al punto di capire che tutto è utile, niente è indispensabile!
Ci sono, però, persone il cui pensiero fondamentale, come abbiamo
sentito nella parabola del ricco che costruisce nuovi granai, è " Godi anima mia, stai allegra. Sono ricco, non ti mancherà mai niente!". Anche a queste persone Dio dà le occasioni per cambiare strada, ma non vengono recepite…e questo non c’entra nulla con l’appartenere alla Chiesa. Dio non si lega alla Chiesa, si lega all’uomo. Dio ha cura di tutti gli uomini, dà a tutti gli uomini l’opportunità di conoscerlo e di seguirlo, di incontrarsi con questa Luce di verità.
Ci sono, però, forme di religiosità che vanno a sostituirsi al cuore. E’ il
pericolo, che, purtroppo, incombe sulle persone che cercano Dio. Io insisto sempre: attenti alla religiosità, perché è pericolosa! Non salva nessuno e, giustamente, il demonio si serve della religiosità. Ad esempio nelle tentazioni…. Satana va da Gesù, con la Bibbia sotto il braccio, lo sfida così:" Ma, scusa, non sta scritto che….". Ecco la religiosità! Bisogna avere molto discernimento, perché la religiosità ci dà l’impressione di essere alla presenza di Dio, ma senza il discernimento ci caschiamo, perché ci presenta un Dio che non è quello vero!
Se abbiamo la fede, abbiamo anche il discernimento; infatti Gesù, che è l’uomo della fede, risponde al demonio: "No! E’ vero, sta scritto quello, ma tu lo stai volontariamente interpretando male!" E’ significativo che il Vangelo ci riporti questa tentazione giocata sul piano della Scrittura, perché il diavolo ci colpisce lì, nel tradimento a Dio. Al diavolo interessa spegnerci dentro la presenza di Dio, quella è la nostra morte.
2. La morte:
fine della terrenità
Le cause della morte sono
da Dio o dal diavolo ?
Ci colleghiamo subito alla prima parte, dove abbiamo affermato che la morte fisica è un fatto naturale, perché fa parte della nostra struttura di esseri umani, quindi della nostra terrenità.
Riprendiamo proprio da questo tema, quello della terrenità, che abbiamo definito "pericolosa", perché essa può arrivare a farci percepire la morte come una disgrazia, come un tragico destino, ed è proprio questo il motivo per cui, spesso, facciamo ancora fatica a sentire considerarla come un evento naturale, come uomini, siamo portati a pensare alla nostra terrenità come ad un assoluto.
Affrontiamo l’argomento ponendoci subito due domande:
1-
2-
Vediamo il primo punto: Come rendiamo assoluta la nostra terrenità?
Per rispondere, attingiamo al Libro della Sapienza e vediamo che nel primo e nel secondo capitolo, ci viene descritta la mentalità dei cosiddetti "empi".
Per "empi", si intendono quelle persone che leggono e vivono la storia senza l’illuminazione di Dio. Questa categoria di esseri umani è caratterizzata proprio dal loro rendere assoluta la terrenità. Perché?
Risposta: Essi vogliono che la loro vita, in terra, non finisca mai e fanno di tutto affinché questo si avveri, ma il ragionamento è molto elementare, perché, comunque, prima o poi, l’uomo si scontra con la morte e, quindi, lo sforzo di pensare e giustificare una vita terrena che non finisce mai, svanisce.
Ricordiamo, ancora, la finale della famosa parabola del ricco: "Stolto, questa notte morirai! ... ed è certo che la ricchezza non potrà salvarlo da quel momento!
Però la Sapienza ci dice: "Attenzione, c’è un altro modo di rendere assoluta la terrenità". Qual’ è questo modo?
Quello degli "empi", che negano una vita dopo la morte. Essi sono convinti che l’uomo è fatto solo per questa dimensione terrena, finita la quale è finito anche l’uomo.
In un tale modo, forse più sottile, si rende assoluta questa esistenza, perché, terminata la vita terrena, non esiste più nulla. Per loro, noi siamo esseri che come scopo hanno il vivere questo presente, dopo di che non esiste più nulla.
Gli "empi", infatti, definiscono la vita "come la scia di una nave che solca l’oceano. Passa la nave, lascia la scia, ma in pochissimo tempo essa scompare e di lei non resta traccia".
Il grosso problema è che questa affermazione presuppone che, al di fuori di questa esistenza, vi sia il nulla! Purtroppo, questo modo di pensare è molto diffuso, perché è anche confermato da un’altra mentalità: Come si fa a credere che, oltre a questa, ci sia ancora un’altra vita? Una vita che non vediamo? Quale? Come?
Risposta frequente è: Non è possibile!
Non è facile, per molti, credere ad un’altra vita, che sia diversa da questa, così come concepire l’invisibilità di Dio come una realtà.
Per molti uomini, ciò che è invisibile non è reale e, soprattutto, non può operare nella nostra storia di persone visibili.
Questi pensieri ci espongono al pericolo di assolutizzare la nostra terrenità, nel senso che noi siamo esseri umani ed esistiamo solo fino a che rimaniamo sulla terra. Finita questa esperienza terrena, scompariamo nel nulla.
Al di là della valutazione in sé, poiché ognuno è libero di pensarla come vuole, di fare le sue scelte, riflettiamo su cosa sta venendo di moda oggi, in un modo accolto ampiamente anche dalla Chiesa; la cremazione, cioè la possibilità che il nostro corpo, dopo la morte, venga bruciato.
Si dirà: è una questione di spazio, di igiene, di rispetto dell’ambiente… E’ una questione di quello che volete e nessuno giudica! Però, se andiamo a fondo e valutiamo bene questo messaggio sottile, ci accorgeremo che la cosa è grave! E ancora più grave è quello che molti dicono: "Poi, dopo, spargete le mie ceneri in giro!", perché tutto ciò comporta la convinzione che, dopo questa vita, non ci sia più nulla!
Gli uomini antichi, che, dal punto di vista dei cosiddetti progrediti, erano i meno evoluti, perché non avevano ancora "beneficiato" del nostro progresso, e che venivano considerati primitivi, avevano una saggezza molto più profonda della nostra. Essi avevano capito che, sì questa vita terrena c’è, ma che dopo ce n’è un’altra! Sicuramente non sapevano come fosse, non avevano ancora compreso come avvenisse il passaggio, ma loro erano convinti che essa esistesse! Eppure neppure loro la "vedevano"!
Ricordiamo anche solamente l’Egitto e il suo culto dei morti, ad esempio le Piramidi! Certo, erano solo per i re, per i nobili! Ma, al di là di questo, erano la testimonianza di una cultura che rispettava il corpo morto, che doveva presentarsi alla loro divinità. E poi si dice: "Ma loro non avevano ancora conosciuto il progresso, le industrie, la preoccupazione del lavoro!!". E’ vero, però avevano, per l’umanità, un rispetto che era una convinzione profonda.
Per gli egiziani, questa vita terrena non era assoluta. Essi dovevano fare i conti con il dio Anubi, che deponeva il loro cuore su uno dei piatti della bilancia della giustizia, mentre sull’altra c’era una piuma. Se il loro cuore era pesante, gravato da troppe colpe, il piatto pendeva e il defunto riceveva la punizione. Al di là del mito, la civiltà egiziana era forse più progredita di quanto pensiamo.
Noi, oggi, siamo diventati incapaci di renderci conto di questo invisibile come di una realtà che tocca la storia, tanto che siamo arrivati proprio qui, ad osservare questo segnale attualissimo: la decisione di essere cremati, di diventare cenere.
Gli uomini, però, sono astuti e arrivano anche a giustificare il gesto, come al solito, estrapolando parti della Bibbia ed interpretandole secondo le loro esigenze: "In fondo anche la Bibbia lo dice "in polvere ritornerai…"! ma, attenzione, che, in quella frase, la "polvere" aveva il significato di "polvere del suolo", nel senso che noi ritorneremo alla terra dove il nostro corpo si consumerà. Per questo nasce il culto dei morti! Il corpo dovrebbe consumarsi nella terra, come si consumano le cose che stanno in terra: in questo caso, ad esempio, il seme!
Ma noi siamo gente progredita!! Così abbiamo trovato tutte queste giustificazioni assurde, che vanno contro ad una realtà profonda, e cioè che la nostra terrenità è stata interpretata come una realtà assoluta. E questo anche se tentiamo di nascondercelo e non lo confessiamo neppure a noi stessi!
Ecco la "scia che scompare per sempre": bruciamo i nostri corpi, e, se possibile, facciamoli magari scomparire buttando in giro le ceneri, che non devono trovare posto da nessuna parte!
E la nostra vita? L’abbiamo voluta far diventare un assoluto, ma, purtroppo non abbiamo capito il progetto di Dio.
Le culture antiche, su questo, ci fanno scuola, anche se il Cristianesimo, che ci dà il compimento di tutto questo, non le aveva ancora raggiunte.
Esse, che vivevano la dimensione naturale dell’"essere uomini", avevano compreso che l’uomo deve raggiungere la divinità.
Vi ricordate la cultura greca, quando ci racconta i suoi miti? L’uomo di questa cultura cercava in continuazione il contatto col divino, sentiva l’impulso di trovare la conferma che, oltre a questa vita, c’era la divinità e che egli doveva piacere al suo dio. Quindi era chiaro, anche per la cultura greca, che la vita non era assoluta e che essa doveva servire ad incontrare la divinità.
Purtroppo, però, tutte queste cose, nella nostra società, non hanno più una grande incidenza e, proprio per questo, siamo arrivati alla situazione odierna.
Quando è incominciata questa mentalità? Ricordiamo che il libro della Sapienza è stato scritto nel 150 a.C. ed è proprio da allora che è iniziata questa credenza, che porta l’uomo ad affermare: La nostra vita terrena è un assoluto, quindi, quando essa finisce, termina anche la nostra storia, il nostro essere uomini.
Questo significa rendere assoluta la terrenità in un modo profondo, però ne scaturisce subito una conseguenza: Se la nostra vita terrena è l’assoluto, allora come deve essere vissuta? Certamente senza alcun freno, seguendo un’unica regola: il nostro piacere. Se non sfruttiamo a pieno i nostri giorni, dopo, non ne avremo più la possibilità, non saremo più niente. Quindi, se non li viviamo fino in fondo, rischiamo di non aver goduto la vita.
"Godiamo la vita! -
La nostra cultura, pur essendo cristiana, non sta sicuramente cercando la dignità della vita! Sta cercando, invece, il godimento di questa nostra esistenza! Addirittura il lamento della povertà non riguarda la mancanza del necessario, ma la mancanza del godimento!
L’ho detto tante volte: il vero povero è dignitoso, il vero povero non ci fa capire di esserlo, non verrà mai a dirci "Sono povero!". Il gridare la povertà non è sintomo di reale mancanza del necessario, ma di bisogno di godere.
Questa non è un’esagerazione, ma la lettura dell’animo umano.
Nell’anima della persona, oggi, l’urgenza predominante è godere la vita. Come? Cercando, prima di ogni cosa, il nostro piacere. Tutto deve essere in funzione del nostro piacere, perché solo questo ci dà la sensazione di aver "vissuto" intensamente.
Siamo convinti che, così, quando moriremo, l’unica nostra consolazione sarà: "Beh, adesso muoio, dopo non c’è più niente, però, caspita! me la sono goduta proprio bene!"
L’empio arriva a questo livello. L’interpretazione della storia dell’uomo, fatta in questa maniera, porta sicuramente l’essere umano ad affrontare la morte come una sfortuna! Per forza! Negarla non si può, evitarla nemmeno, perché arriva…ma, quando arriva, la morte ci stronca, non ci permette più di godere, è la fine di tutto quello per cui abbiamo vissuto, perché strappa all’uomo la possibilità del piacere. In questo contesto, il dispiacersi per la morte, significa dispiacersi per non poter più approfittare dei piaceri della vita terrena.
Pure le antiche culture ci avevano indicato un altro passaggio, pensiamo che già nel 150 a.C., quando viene scritta la Sapienza, anche gli uomini di allora cominciavano ad entrare in questo vortice. Il contesto della Sapienza è quello dell’ellenismo, che stava già prestando il fianco all’altra filosofia di vita, l’Epicureismo, che proclamava: "Godi la tua vita!", pensiero che caratterizzerà anche la cultura romana. E saranno proprio queste due culture ad intaccare, in seguito, con le loro credenze, anche il popolo giudaico. Ricordiamo, ad esempio, nei Libri dei Maccabei, quando, presso Gerusalemme, vennero costruite palestre, secondo l’influenza della filosofia ellenica.
Questa decisione doveva servire affinché la prestanza fisica diventasse l’espressione perfetta del corpo che gode. Quando ciò accade, inizia la reazione dei fedelissimi che si oppongono a questo pensiero, perché portava Israele lontano dalla purezza della fede in Dio, esponendo il popolo al concetto di vita intesa come solo godimento.
La cultura romana, invece, sposa decisamente questo pensiero e vive secondo la filosofia del "Carpe diem". Ricordate sicuramente questa espressione che significa "Cogli il giorno", liberamente tradotto in "Cogli l’attimo", nel significato di "Godi del tempo presente perché poi non c’è più nulla".
Il Libro della Sapienza è scritto in questo contesto, che ricorda quello nostro, di ora, il quale denuncia proprio come allora, quanto gli uomini siano convinti di vivere una terrenità assoluta. Così l’empietà continua a serpeggiare tra i cristiani.
Ecco, dunque, la nostra difficoltà: ridare alla morte il suo giusto posto.
Che cos’è, allora, la morte? La fine della terrenità, ma perché dobbiamo passare all’eternità. In questo caso la morte non è più vista come la fine dell’uomo e della sua realtà umana, ma viene considerata come un inizio, l’entrata dell’essere umano nell’immortalità. Si riafferma così il concetto della morte come passaggio naturale che conduce l’uomo alla fase dell’eternità.
Ma, allora, come concepisce la morte Dio, secondo il Suo progetto? Solo come un trapasso naturale, a cui gli uomini arrivano in modo altrettanto naturale. Secondo queste modalità, è comprensibile che vi si giunga quando l’uomo ha raggiunto la maturità umana.
Il nostro corpo segue proprio questa logica: esso deve crescere sino a morire, sino a consumarsi. Ma ciò diventa un dato previsto.
Pensiamo alla morte dei Patriarchi. Le descrizioni sono bellissime; in queste si intuisce come essi avessero compreso che la loro vita era un cammino che doveva arrivare sino alla consumazione, alla morte, ma, in uno stato naturale.
"Adesso io mi devo ricongiungere con i nostri Padri", dice Giacobbe
Se la morte naturale fa parte del progetto di Dio, allora perché accadono le morti non naturali? Guardiamo solo cosa hanno fatto al Figlio dell’Uomo che è stato ucciso! Quindi già Lui non ha vissuto una morte naturale!
Come mai? E’ una disgrazia? E’ il Padre che non lo ha protetto? E’ un volere di Dio? Ma, se Dio vuole che l’uomo muoia nella sua naturalità, perché, Gesù, il Figlio Suo, non è morto nello stesso modo?
Se Dio fa l’uomo per una morte naturale e se questa non avviene, da dove provengono le cause di questo secondo tipo di morte? Da Dio o dal diavolo? Andiamo a capire il problema.
E‘ chiaro che possiamo spiegare questo, solo se lo collochiamo dentro al progetto di Dio, cioè al fatto che l’uomo percorre la sua strada terrena e giunge alla morte naturale come passaggio all’eternità.
Quindi, se qualcosa non consente la realizzazione di questo progetto, sicuramente non proviene da Dio, ma dal diavolo.
Siccome la morte deve essere naturale, il diavolo fa in modo che la morte non lo sia, perché tutto sia contro Dio (Genesi, capitolo III).
E come realizza il suo piano? Deve trovare il modo di far morire diversamente l’uomo.
Questo è un tema che avevamo già accennato nel corso degli incontri sulla "Malattia", ma ora lo riprendiamo perché ci è ancora utile ricordarlo.
Il diavolo escogita ogni modo per farlo morire di una morte non naturale, perché, così facendo, si insinua nell’essere umano il rifiuto di Dio, che viene accusato di esserne la causa.
Infatti, non appena si presenta una morte innaturale, qual è la prima, immediata reazione tra i cristiani? "Dio non ha guardato a noi! ...Perché Dio ha fatto questo? …Perché Dio mi ha portato via quella persona? …Perché Dio ha fatto morire quei bambini? …Perché Dio …Perché Dio …"
Sempre così.
Il diavolo ha vinto e Dio viene accusato di essere responsabile di una morte ingiusta.
Satana ha vinto perché è riuscito ad allontanarci da Dio, a farci vedere in Lui un nemico, un Essere ingiusto!
Ma le cause di quelle morti da dove provengono? Il diavolo lascia in sospeso la risposta, ma suggerisce subdolamente: "Da dove vuoi che vengano? Se tu accetti che Dio abbia in mano tutto il mondo, anche la causa di queste morti vengono da Lui, che ne è l’autore!" E molti cristiani ci cascano!
Il diavolo è l’autore delle morti non naturali! In che modo?
Il demonio è furbo, l’ha studiata bene …e sia chiaro che non scendiamo nella banalità, ma nel realismo.
Egli parte da almeno tre cause semplici, che dipendono tutte e tre dall’uomo: l’alimentazione, l’ambiente, il conflitto.
Il demonio fa in modo che, attraverso l’alimentazione, l’ambiente, il conflitto, si possa uccidere l’essere umano. Tutti questi mezzi sono nelle mani degli uomini, ma, alla fine, il vero regista è solo lui.
Vediamoli in successione:
L’alimentazione di oggi è uno schifo! Il 99% delle malattie provengono da una cattiva alimentazione. E questo è un dato reale. Perché proprio l’alimentazione? Guardate, che non è casuale. L’alimentazione è uno degli elementi che Dio ha dato per la vita dell’uomo. Per questo dove Dio ha posto la vita, il diavolo pone la morte. E’ chiaramente la sua logica! Se l’uomo necessita dell’alimentazione, ecco che il demonio sceglie questa esigenza come una delle possibilità per distruggerlo.
Abbiamo detto che i tre mezzi sono nelle mani dell’uomo. Allora come fa l’essere umano ad usare l’alimentazione come mezzo di distruzione?
Il diavolo ha pensato: "Se io convinco l’uomo alla logica della ricchezza e del potere, lo gioco su tutti i fronti. L’alimentazione non sarà più un bene indispensabile alla vita dell’uomo, ma una sorgente di guadagno e di potere.
E se si desidera guadagno e potere, cosa interessa a chi produce il cibo, se esso fa bene o fa male? L’importante è che quel settore di produzione frutti molta ricchezza.
Nei tempi passati, c’erano le botteghe per i vari prodotti, oggi ci sono i supermercati. E questo non è un progresso, ma l’attuazione della logica della ricchezza. Il supermercato non ha l’interesse della salute dell’uomo, ma quello del potere economico. Siamo stati giocati in pieno! Le persone sono contente di andare al Supermercato e di trovare tutto, secondo una mentalità che ci è stata inculcata! L’alimentazione è diventata per noi sorgente di morte, perché ci fa ammalare, perché non ha come fine il beneficio e la salute dell’uomo. E’ pensata per il mercato, per il guadagno.
La controprova: cosa non viene fatto per pubblicizzare i vari prodotti? Ma, secondo voi, vengono pubblicizzati perché fanno bene alla salute? No, solo per un discorso economico, perché devono essere smerciati. Questa è una logica di morte, affinché la nostra morte non sia più naturale. Possiamo chiamarlo, l’"avvelenamento bianco".
Poi l’uomo ribatte:" Sì, però noi siamo progrediti. Abbiamo le medicine!" Di nuovo!! E’ un altro aspetto simile all’alimentazione.
Osserviamo le medicine: quelle che fanno bene ad un problema, hanno delle controindicazioni che provocano danni peggiori di ciò da cui vogliamo guarire. Questa è una logica perversa, diabolica, di morte!!!
Ma chi pensa mai al diavolo, collegandolo a queste cose? Nessuno, e lui ci gode! Gli uomini ci cascano e muoiono, non in modo naturale, ma per tutte queste cause. Dopo di che, attribuisce a Dio la colpa!
"Ah, ma io sto benissimo! ". Quindici pastiglie al giorno! E ogni pastiglia ha un sacco di controindicazioni. Così ci costruiamo la morte! Quindi il diavolo ci gioca con l’alimentazione; ci fa mangiare ciò che, all’apparenza, ci fa anche bene o ci procura piacere, perché, diciamo: "Ma noi dobbiamo mangiare!".
Però, mentre facciamo questo, dentro c’è il veleno, il seme della nostra morte e noi non ce ne rendiamo conto.
Alimentazione e farmaci! E non venitemi a dire che i farmaci sono mirati al bene della persona! L’unico bene che fanno è nei confronti del commercio delle case farmaceutiche che li producono. Questa non è immaginazione, sono dati reali, è la cultura che noi viviamo e respiriamo.
Se andiamo indietro nell’antichità, non c’erano le medicine! Vi ricordate qual era la logica di Dio per eventuali disagi fisici dell’uomo? Dio interviene anche su questo punto, manifestandolo a Salomone, che ne diventa il simbolo.
Ad un certo punto, Salomone dice: "Il Signore mi ha dato la sapienza, ma, insieme alla sapienza, mi ha dato la conoscenza delle proprietà delle piante, delle radici e delle erbe" …E sia chiaro che questo non c’entra nulla con l’essere vegetariani! Questo è un discorso molto più profondo. Si prevede che l’uomo possa avere dei disagi fisici, ma il rimedio lo si deve trovare nella terra stessa, perché quella terra è di Dio. Salomone lo ha capito.
Le case farmaceutiche non hanno la sapienza che fa loro scoprire le proprietà di radici, erbe, piante. Tutto è costruito, non fatto in funzione del benessere totale della persona… E guardate che questo è molto grave! La medicina, che ci viene prescritta, non fa bene alla totalità della persona: aiuta qualcosa, ma rovina, distrugge parecchio altro (le controindicazioni).
Quindi anche le medicine, che non sono concepite per il bene della persona, sono una forma di morte. Mentre tolgono un dolore, mettono l’uomo in condizione di avere altri disturbi peggiori!
Questa è una delle logiche della morte non naturale, costruita dalle leadership che hanno compreso come, attraverso questi mezzi, ci sono grandi possibilità di arricchimento: le catene alimentari, le case farmaceutiche, le multinazionali…tutto a scapito dell’uomo.
A nessuna delle società, coinvolte in esigenze di espansione economica, importa dell’uomo, sono solo interessate alla ricchezza, al mercato, al potere e noi siamo le vittime.
Secondo strumento di morte dell’uomo: l’ambiente…detto in altre parole: il respiro. Noi abbiamo bisogno dell’aria, che è uno degli elementi fondamentali da cui dipende l’esistenza dell’uomo. L’uomo ha bisogno di aria, di sole, di questo respiro. Secondo voi che cosa stiamo respirando oggi?
E quello che respiriamo è prodotto dagli uomini, che lo fanno per convenienza. Ma sta di fatto che l’aria, nell’ambiente, ormai non è più respirabile e questo ambiente altera sempre di più le nostre cellule. Questa incapacità a "respirare" l’aria e il sole, fa ammalare il nostro corpo, che si indebolisce e va verso una morte non naturale. E’ proprio vero che il diavolo è molto astuto, infatti ha insinuato, nella mentalità umana, che l’importante è il progresso ed il diventare ricchi, potenti anche distruggendo l’ambiente! A chi ormai interessa questo?
Attenzione, non sto facendo l’ecologista! Sto ripetendo le parole di Genesi, perché queste cose erano già scritte!
Qual è, secondo Dio, la condizione per l’uomo affinché possa arrivare alla morte naturale? Il Giardino di Eden.
Cosa c’era in questo Giardino? Forse i pullman, le automobili, i camini fumanti delle fabbriche, i fiumi inquinati? Era così il Giardino di Eden? No! Il Giardino era composto da alberi, erba, fiori, frutti, pesci, uccelli, altri animali, tutto ciò che serviva per l’uomo…ma, in quel Giardino, c’era soprattutto il respiro. L’uomo viveva la sua purezza di respiro.
Il Signore ha fatto la terra, il sole, la luna, le stelle…perché, in quell’ambiente, l’essere umano doveva vivere l’armonia della sua vita terrena ed arrivare serenamente alla morte naturale, al passaggio nell’assoluto.
Ma l’uomo cosa ha fatto di questo ambiente? Un disastro. Egli è come sospinto in una corsa affannosa verso una morte non naturale, perché gli manca un elemento essenziale: il respiro, visto che ciò che respiriamo ci uccide!
Gli ecologisti non concluderanno mai nulla, sia chiaro, perché non è quella la strada per cambiare la situazione. Affinché la situazione cambi davvero, c’è un’unica soluzione: che gli uomini ritornino a capire Dio, l’Invisibile, che, guarda caso, è Chi ha costruito una terra e una storia veramente vitali. E noi che siamo visibili, toccabili, la stiamo rovinando!
Lui, l’Invisibile, aveva fatto una cosa stupenda, però è invisibile, quindi la maggioranza è convinta che Dio non c’entri niente con noi e col nostro ambiente inquinato, con la nostra alimentazione alterata!
Certo che c’entra, perché se Dio entrasse ancora nella nostra storia, potrebbe cambiare il cuore dell’uomo e, se cambia il cuore dell’uomo, di sicuro tutto cambia. Il problema è proprio il cuore dell’uomo! Quindi la situazione non cambierà, perché è tutto il sistema che non funziona: è l’uomo.
Questa terra, che una volta era benedetta, senza rendercene conto, noi l’abbiamo fatta diventare una terra maledetta, una terra di morte, che accelera la morte e non consente più all’uomo di godere il meraviglioso disegno di Dio: arrivare ad una serena morte naturale. Per questo la morte diventa fonte di disperazione, perché ha perso il senso della naturalità ed è una morte imposta, una morte che ci strappa. Ma di chi è la colpa? Sicuramente del diavolo, ma anche dell’uomo.
La conflittualità. L’astuzia del diavolo l’ha pensata bene di nuovo: "Un altro modo per far morire gli uomini in un modo non naturale è che si uccidano l’uno con l’altro". E gli uomini si uccidono. Il Figlio dell’uomo come è morto? Ucciso.
Già in Genesi compare l’uccisione come il frutto dell’intervento del demonio sull’uomo. Infatti Caino uccide Abele. Il demonio semina la morte, una morte prodotta dalla violenza dell’uomo.
Quindi la violenza fisica semina la morte, una violenza che uccide, che distrugge l’uomo. Di queste violenze ce ne sono tante ed accelerano la morte dell’essere umano. Le guerre sono l’espressione più forte di come il diavolo usi gli uomini per distruggere l’opera di Dio, concretizzata nell’uomo stesso.
Purtroppo anche i nostri ricordi cristiani ci mostrano come, nel passato, si è aderito a questo progetto diabolico che, addirittura, con una grande bestemmia detta dalla Chiesa, sono state chiamate "le guerre sante".
Perché "bestemmia"? Perché vuol dire che è la fede in Dio che semina la morte. Dio è stato preso come l’autore delle uccisioni, e, ancora una volta, il diavolo ha trionfato nella Chiesa, tra i cristiani.
E come giustificazione, è stato detto: "Dovevamo difendere i luoghi sacri!".
Forse che Dio ha detto: "Facciamo quel tempio, quel santuario, quella cappella a nostra immagine e somiglianza"? Oppure ha detto "Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza"?
Che squallore! Il diavolo è riuscito a far seminare la morte in nome di Dio, il massimo della bestemmia! E in più, l’intervento del demonio ha fatto in modo che gli stessi uomini si vantano di questo: hanno difeso i luoghi sacri!! Certo, avremo anche difeso i luoghi sacri, peccato che abbiamo offeso Dio!!
Così l’uomo muore in modo prematuro, non raggiunge la maturità della sua vita a causa della violenza provocata dall’uomo, eseguita dall’uomo, anche se l’autore è sempre lui, il demonio. Però chi la esegue è l’uomo, Caino che porta in campagna suo fratello e lo uccide.
Ecco che, di fronte a tutte queste cose messe insieme, sorge la domanda: "Ma allora dove sta Dio? Perché Dio permette tutto questo?" Andiamo più in profondità.
Prima molto superficialmente dicevano "La colpa è di Dio", ora che abbiamo capito che non è così, ci rimane la domanda sul perché lo permette.
Qui si apre una riflessione non da poco: Perché Dio permette queste morti? Perché permette che venga violentato quel progetto secondo il quale Egli ha creato l’uomo?
Dio crea l’uomo per l’eternità. Egli lo ha fatto perché raggiunga lo stare con Lui, ma, ponendolo sulla terra, gli ha fatto un regalo grandissimo: la libertà.
Il Padre non si tirerà mai indietro, non interverrà mai per ingerirsi nella libertà dell’uomo, di nessun uomo.
Gesù è il segno di tutto questo. Il Messia viene ucciso e, guarda caso, Dio non interviene, lascia che lo uccidano.
"Ma perché? Era suo Figlio!"
Risposta: Dio era certo che quel Figlio non sarebbe morto per sempre, ma stava tornando a Lui.
Nell’ultima cena, Gesù lo ha detto:
"Ora, devo tornare al Padre mio… "
Egli sentiva avvicinarsi il momento della sua morte provocata – Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani dei sacerdoti e degli anziani, e sarà messo a morte". Gesù era lucidissimo, sapeva di andare incontro ad una morte non conforme a ciò che Dio vuole per l’uomo.
Era una morte violenta, ma Egli sapeva che comunque gli avrebbe permesso di raggiungere il Padre: "Ora io vado a Colui che mi ha mandato, ritorno al Padre mio…" e va verso la morte. Il Padre non lo libera da quella morte, Egli deve rispettare la volontà degli uomini che hanno deciso che Gesù deve morire e che lo uccidono.
Ricordiamo le parole di Gesù sulla croce: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!". Quella frase significa: Quell’azione che stanno commettendo, è vero che la stanno materialmente facendo loro, ma sono solo strumenti nelle mani del diavolo. "Perdona loro" perché la mia storia non è finita, Io vengo a Te.
Essi hanno solo anticipato i normali tempi; in questo modo Io vengo a Te prima… "Padre nelle Tue mani affido il mio Spirito".
La morte di Gesù ci serve da esempio per spiegare l’atteggiamento di Dio.
Ecco perché Dio non interviene quando l’uomo diventa artefice della morte, perché Egli rispetta la libertà dell’uomo fino in fondo, ma con una certezza: che, se noi moriamo, innocenti, noi andiamo a Dio, perché la nostra vita non finisce qua, perché il giusto andrà a Lui.
La Sapienza ci dice questo, facendo un’analisi di queste morti improvvise: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi deli stolti parve che morissero – cioè che con la loro morte fossero finiti, invece non è così -
Ma il diavolo vi si oppone: No! Io devo fare in modo che l’uomo non possa vivere questo disegno di Dio… così gli mostrerò che questo disegno è inutile, vano, è irraggiungibile. In questo modo l’essere umano perderà ogni speranza tra cui anche quella di vivere!
Questo è il progetto diabolico con cui si vuole strappare l’uomo dalla certezza di essere con Dio.
Gesù capisce bene il suo piano. Vi ricordate sulla croce quel passaggio "bellissimo", anche se non è bello in termini umani, in cui Gesù percepisce fortemente la disperazione che gli provoca il demonio: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?", una frase il cui senso è: Padre, guarda che questa morte fatta così è un mezzo che il demonio usa, per portarmi alla sfiducia in Te…vuole strapparmi dalla sicurezza che tu sei con me, sempre, anche ora!"
Questa è l’arte del diavolo, è come se suggerisse a Gesù: "Vedi il tuo Dio? Guarda, ti lascia morire tra i tormenti! Dov’è il suo proposito di farti morire di morte naturale?"
Sotto la croce a Gesù veniva gridato: "Se sei Figlio di Dio scendi da quella croce!" Era la sfida! Ma Gesù aveva capito perfettamente. Egli sentiva il peso
di quella morte che voleva allontanarlo dalla fiducia nel Padre suo e dice: "Nelle Tue mani affido il mio Spirito", è il superamento! E’ vero che muore a 33 anni, ma vive in Dio…per darci la certezza che la nostra vita non finisce con la morte.
Secondo i testi della Scrittura, le cause delle morti violente e premature vengono dal diavolo, che si serve degli uomini.
Quindi dobbiamo smettere di aderire alla mentalità corrente, che continua a dire:" Perché Dio mi ha fatto questo? ...Cosa ho fatto di male perché mi dovesse punire in questo modo?"
Basta con queste frasi che non sono assolutamente cristiane! Dio non farà mai nulla contro di noi, perché Lui è amore e fa solo progetti "per noi", non contro di noi!
Se qualcosa "contro di noi" accade, adesso abbiamo capito da dove proviene! Dal diavolo, che ci vuole convincere che Dio ci è nemico, che non fa niente per aiutarci e sostenerci!
"Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" La grande tentazione! E noi dobbiamo essere forti tanto quanto lo è stato Gesù.
Prima ho parlato di una "riforma del sistema", che deve partire dalla persona.
Mi spiego: se un uomo farà "dentro al cuore" questi passaggi, in un radicale cambiamento interiore, allora sarà possibile una riforma del sistema. Però, le persone, attualmente, vivono in questo sistema conflittuale, in cui tutti noi siamo sottoposti ad una violenza continua.