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Mosso 21.02.2016
Don Carlo Maria Rovagnati
Domenica 21/02/16 ore 10:
La croce
La prima Lettura, che apre il cammino al quale ci vuole condurre questa seconda domenica di Quaresima, è presa dal libro di Genesi. Ormai sappiamo bene dove collocare questo libro, il primo della Torah, della legge d’Israele, un libro che deve essere ben capito, proprio perché è fortemente mitologico.
Sappiamo, anche, che "mito" non vuol dire favola, racconto e basta. Vuol dire "forma con la quale si cerca il più possibile di far capire una verità che non appartiene a questo mondo", che è trascendente, che va oltre. Quindi il mito diventa un modo con il quale si cerca di penetrare la conoscenza di Dio.
Genesi fa uso di questo linguaggio mitologico per parlarci di verità che riguardano, questa volta, l’unico e vero Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè.
Tenete presente che il libro di Genesi è stato redatto durante la Monarchia, quando è ormai assodata, nel popolo d’Israele, la convinzione che la legge di Mosè è la Legge data da Dio. Perciò, attraverso questa Legge, si deve proclamare il Dio d’Israele e la proclamazione, in tutti i suoi aspetti, viene fatta da Genesi, primo libro della Torah, proprio attraverso il linguaggio mitologico, perché era quello più diffuso, più familiare a quei tempi.
Il linguaggio mitologico non elude, comunque, la presentazione di fatti storici, realmente avvenuti, i quali, fino ad allora erano conosciuti soltanto attraverso la tradizione orale. Non c’era nulla di scritto, fino a quando, verso il 700 a. C., all’epoca della monarchia, si decide di mettere per iscritto la tradizione orale. Così, pur usando un linguaggio mitologico, vengono trasmessi fatti storicamente avvenuti e tramandati di generazione in generazione.
In Genesi cominciano ad affiorare alcuni dati che rappresentano la storia di questo popolo e, più che in altri libri, vengono messe in luce le sue radici, che risalgono a quello che storicamente è considerato il fondatore d’Israele, Abramo. Dall’11.esimo capitolo in poi, Genesi assume queste caratteristiche: su dati storici accaduti e tramandati attraverso la tradizione orale, vengono riproposti la nascita e lo sviluppo del popolo. Siamo al capitolo 15 e questa sezione storico-
Ma sarà proprio vero che è Dio che parla? Abramo è nel dubbio e questo suo travaglio interiore lo porta alla fine a vedere con chiarezza e a decidere di fidarsi di questa voce. Egli diventa così "l’uomo modello della fede", e questo è ciò che ci vuole comunicare il passaggio di stamattina.
Proviamo a sentirlo:
"Dal Libro di Genesi: (Gen 15,5-
In quei giorni Dio disse ad Abramo: Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza». Abramo credette nel Signore, che glielo accreditò come giustizia. E Dio gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose Abramo: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e una colomba». Egli andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abramo li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su di lui, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abramo: "Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume Eufrate".
Il Signore è mia luce e mia salvezza (salmo 26)
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è la difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
……..…
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
…...….
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
………..
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
La seconda lettura è di San Paolo, che ci fa passare dalla Lettera ai Romani di domenica scorsa alla Lettera ai Filippesi, dove ci viene presentato un passaggio del capitolo terzo e più precisamente la finale. In essa, Paolo arriva ad esporre ai Filippesi una conclusione molto pesante e cioè che i giudei non credono alla croce di Gesù.
Perché non credono? Perché, secondo loro, se Gesù è stato crocifisso, vuol dire che Egli è stato uno che non ha ubbidito alla Legge di Dio. Infatti, il Figlio dell’uomo viene condannato in forza della Legge, che è sostenuta e dichiarata dai sommi sacerdoti, dal Sinedrio.
La croce di Gesù, secondo loro, è disobbedienza alla Legge di Dio, Gesù è un castigato! Paolo, dopo aver cercato di esporre ai Filippesi il pericolo di non capire che, proprio in quel Gesù crocifisso, c’è la pienezza e la Signoria di Dio, arriva alla conclusione che sentiremo adesso.
La sua conclusione passa attraverso l’ammissione di essere stato anche lui uno che non credeva che Gesù fosse il Figlio di Dio, proprio a causa della Sua crocifissione. Anche Paolo, quindi, ha condiviso in passato quella Legge che considerava Gesù un bestemmiatore, ma ora che lo ha incontrato "tutto il resto per me è diventato spazzatura!".
Leggiamo:
Dalla Lettera i Filippesi ( 3,17-
"Fratelli, fatevi miei imitatori e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti -
Dal Vangelo secondo Luca ( 9, 28-
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui.
Mentre questi si separavano da Gesù, Pietro gli disse: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Ma Pietro non sapeva quello che diceva e, mentre parlava in questo modo, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'eletto. Ascoltatelo!». Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi allora tacquero e, in quei giorni, non riferirono a nessuno ciò che avevano veduto.
Omelia:
Dobbiamo continuare il nostro cammino quaresimale, che abbiamo cominciato domenica scorsa. Di questo cammino abbiamo detto quale doveva essere l’obiettivo e di conseguenza le modalità per arrivarci.
Il suo obiettivo va interpretato come un percorso, che deve condurci sempre più verso il nostro "segreto", cioè insegnarci a guardarci dentro, perché è proprio lì che avvengono tutte quelle espressioni che possono essere anche della nostra fede e del nostro rapporto con Dio.
Ora siamo di fronte a questa proposta di Paolo:" Fatevi miei imitatori…. Rimanete saldi, in questo modo, nel Signore".
Proviamo a capire, adesso, quello che Paolo vuole, prima di tutto insegnare ai Filippesi e, ovviamente, anche a noi.
Abbiamo accennato nell’introduzione, dove si colloca questo invito: Fatevi miei imitatori… quindi, in che cosa dobbiamo imitare Paolo?
L’imitazione sta nel salto che l’apostolo ha fatto e, cioè, il salto tra la tradizione giudaica e l’adesione al Vangelo di Gesù. Ora, però, scendiamo nei particolari. Teniamo presente che la formazione che egli ha avuto, era improntata al pensiero giudaico, appartenete alla scuola più rigida dei farisei, quindi vicinissima a quella mentalità che è stata decisiva nella condanna di Gesù. E, tra l’altro, Paolo perseguitava i cristiani, quindi era ben dentro a questa formazione, ritendo quello un modo per essere fedele a Dio.
Adesso l’apostolo definisce ciò che c’è stato, prima del suo incontro con Gesù, con un termine molto duro: "Tutto questo per me è spazzatura!".
Paolo ha compiuto un salto, che adesso diventa modello, e dice: Anche voi dovete fare questo salto, quindi "Fatevi miei imitatori"
Perché tutto il resto è spazzatura? In che senso?
In un passaggio, Paolo, riferendosi appunto agli Israeliti, nella Lettera ai Romani, arrivava a dire: "I miei fratelli israeliti sono ammirevoli per lo zelo che hanno per Dio, ma non hanno la conoscenza"
Allora, è "spazzatura", perché? Perché è senza conoscenza!
Come fa Paolo a dire che quella tradizione giudaica è senza conoscenza?
Perché la tradizione giudaica si comporta come nemica della croce. Le sue parole esatte sono: "Perché molti -
Ma, in che senso i giudei sono nemici della croce di Cristo? Forse perché non vogliono mettere più i crocifissi in giro? Ma no, non c’entra niente!!
Sono nemici della croce perché, nella croce di Gesù, vedono solamente la punizione di un uomo che non ha ubbidito alla Legge. Vedono nella croce la prova, se così vogliamo dire, che quel Gesù è un bestemmiatore! Vedono nella croce la prova che quel Gesù non può dichiararsi Figlio di Dio, perché punito dalla Legge e non da una legge qualunque, ma dalla Legge di Dio! Quella decisione di punizione viene per opera del Sinedrio, dei sommi sacerdoti, quindi, deve essere considerata sacra!
Ma se è "sacra", è chiaro che Gesù ha violato la Legge di Dio, quindi è un pubblico peccatore!
Con la crocifissione, che ha lanciato un messaggio chiarissimo, il Sinedrio ha messo tutti nella condizione di dire: Non ci sono dubbi, il Nazareno è un pubblico peccatore, punito, perché ha profanato la Legge di Dio! Più evidente di così!
"Nemici della croce" significa vedere quella croce, dove è stato crocifisso il Cristo, come la prova che in Lui non c’è la verità di Dio, anzi c’è la negazione di Dio. E’ un bestemmiatore!
Naturalmente la croce è quella che mette in crisi il rapporto con il Cristo. Se anche uno volesse credere in quel Gesù, perché lo sente parlare, perché fa dei segni, perché fa delle guarigioni, quindi, se anche uno si sentisse portato ad aderire a Gesù, quando arriva alla croce, si ritira, perché allora comincia il dubbio, la perplessità. Tanto più perché quella croce è decisa da chi ha il potere di interpretare la Legge di Dio, il Sinedrio, composto da sommi sacerdoti, farisei, scribi, anziani del popolo. Quindi il problema della croce non è una cosa così superficiale! E’ pesante proprio nei confronti di chi vuole avere fede in Gesù!
Paolo è turbato proprio da questo pericolo: Attenti che ci sono molti che vi parleranno di Gesù, vi diranno di Lui, ma, quando arrivano alla croce, vi dimostreranno l’inconsistenza del Suo rapporto con Dio, anzi vi dimostreranno che quel Gesù non c’entra proprio niente con Dio. E’ un bestemmiatore!
Paolo confessa: Anch’io sono stato tra quelli che hanno creduto a questa tesi, perché era evidente. Più evidente di così! Se uno ha fiducia nella Legge, chiaramente davanti ad un Gesù crocifisso non può dire altro, se non che quel Gesù è veramente un peccatore!
Paolo ci ha creduto, tant’è che è diventato addirittura persecutore dei cristiani, perché essi esaltavano quel Gesù crocifisso come Figlio di Dio… cosa che invece andava contro la Legge!
E Paolo spiega: Perché io perseguitavo i cristiani? Perché ero schiavo della Legge! Perché confidavo nella Legge come l’unica strada che mi desse la certezza di stare con Dio.
Il culto della Legge: proprio quel culto produce lo zelo per Dio!
Infatti come i farisei mostravano lo zelo per Dio? Lo mostravano con la perfezione dell’osservanza della Legge... ed era proprio l’osservanza della Legge ad attribuire a scribi e farisei questa caratteristica, di essere zelanti per Dio!
Infatti la stessa parola "fariseo" significa proprio, "uno che si distingue" quindi è perfetto nell’osservanza della Legge. Ricordate cosa facevano i farisei per mostrarsi zelanti ed osservanti? Dice Gesù: "Allungano i filatteri delle loro vesti" che era il segno della perfetta osservanza.
I farisei volevano far vedere proprio questo, che erano zelanti nell’osservanza, però Paolo dice: "Anch’io ero zelante nella Legge, tant’è che perseguitavo i cristiani, perché pensavo che anche loro fossero bestemmiatori, volendo dichiarare Figlio di Dio un uomo, condannato come bestemmiatore dalla Legge!"
Paolo, nella sua mente, tutto sommato era fedele alla Legge che gli garantiva di essere gradito a Dio, ma dice: "Da quando, però, io ho conosciuto il Signore, tutto il resto per me è diventato spazzatura!".
Allora, "da quando io ho conosciuto il Signore"! Teniamo presente che i racconti, sia degli Atti che dei Galati, ci mettono al corrente di come l’apostolo abbia conosciuto il Signore, sulla via di Damasco.
Egli stava andando a prelevare altri cristiani per metterli in carcere, quindi stava andando ancora a compiere l’opera di "purificazione" nei confronti della Legge.
Infatti il racconto ci dice che quella voce che Paolo sente va in questa direzione: "Perché mi perseguiti?" e, da quel momento, in Paolo, si apre la conoscenza, quell’apertura di conoscenza che è simboleggiata dall’avvenimento che lo vede diventare cieco.
In seguito, con l’intervento di Anania, la cecità si risolve e il testo ci dice, che, non appena guarisce dalla cecità, Paolo incomincia subito ad annunciare il Vangelo di Gesù. I suoi occhi si sono aperti: "Da quel momento ho conosciuto il Signore". Ma in che cosa è consistita quella conoscenza? E’ consistita nella rivelazione: "Io sono quel Gesù che tu perseguiti!" …" Ma allora sei vivo, Signore! Ma allora sei ancora presente! Allora puoi ancora incontrare gli uomini!" e Paolo capisce, intuisce e ha dentro la conoscenza certa di quel Gesù, che è stato crocifisso ed è risorto. Ma se è risorto ed è ancora capace di incontrare gli uomini, di stare con gli uomini, di far sentire agli uomini la Sua presenza, allora comprende che c’è qualcosa che sfugge alla Legge.
La Legge non capisce, non è in grado di spiegarlo, arriva solo fino alla morte!! Gesù dice a Paolo: "Io sono il Signore, quello che tu perseguiti". E’ allora che lo stupore che Egli sia vivo, apre di colpo gli occhi di Paolo ed egli si rende conto che non è più la Legge a dare la verità. Adesso la verità, la certezza di Dio, è proprio in Lui, in quel Gesù che è stato pubblicamente dichiarato bestemmiatore, pericoloso, peccatore. Ora solo Lui dà la certezza di Dio; infatti è risorto e ha in sé tutta la pienezza del Creatore.
Da quel momento, Paolo chiama Gesù con il nome di Signore:" Da quando io ho conosciuto il Signore…" E questo termine è importante, perché dà alla frase un significato fondamentale e cioè: "Da quel momento io ho riconosciuto che la verità di Dio non sta più nella Legge, ma sta solo in Lui".
E perché non sta più nella Legge?
Perché la Legge non ha capito niente di Gesù, quindi significa che la Legge non è più ispirata da Dio, che non conduce più gli uomini a Dio e non è più in grado di avere la Sua Sapienza, visto che non riconosce il Cristo, Lo uccide, Lo mette in croce! E quello non è un bestemmiatore, è il Signore perché solo attraverso di Lui l’uomo può avere la certezza di essere della conoscenza di Dio
E’ il Signore, ma che cosa vuol dire?
Vuol dire che al di sopra di Lui, al di fuori di Lui, oltre a Lui non c’è nessuno. Egli è il punto più alto, il massimo a cui l’uomo deve fare riferimento per poter avere la certezza di essere in Dio. Infatti, quando Pietro proclama la resurrezione, che cosa annuncia? Lo fa collocando Gesù al punto più alto," seduto alla destra di Dio". Oltre a quel punto non c’è nessuno!
E’ la Signoria di Gesù, quella Signoria che ci garantisce al di sopra di tutto la certezza di Dio.
Ecco, allora, l’esperienza di Paolo: "Da quel momento, per me, tutto il resto è diventato spazzatura! Il resto per me non conta più! Ho capito che ciò, che devo seguire, è solamente la strada tracciata dal Signore, quel Signore morto e risorto, considerato dalla Legge peccatore… esaltato e giustificato da Dio…e la conferma è la Sua resurrezione!" Su questa base, quindi, Paolo invita i Filippesi e anche noi: Siate miei imitatori! In che modo possiamo imitarlo?
Dobbiamo imitarlo in questo coraggio di accettare Gesù e viverlo come il Signore!
E’ chiaro, però, che il contesto, in cui Paolo porta ai Filippesi questa indicazione, è un contesto di giudei, con i quali le prime comunità cristiane dovevano fare i conti.
Quindi il pericolo immediato era proprio la tradizione giudaica, che sicuramente non avrebbe aiutato i neo-
I giudei avrebbero sempre cercato di scoraggiarli in questa proclamazione della Signoria del Cristo.
Però, anche col procedere dei tempi, il rapporto dei cristiani con il mondo li metterà, comunque, sempre nella condizione di avere delle stimolazioni contrarie al credere nella Signoria di Gesù, stimolazioni che cercheranno di convincerli a diffidare di Lui, proprio a causa della Sua crocifissione.
Questo sarà il seguito di tutta la tradizione cristiana, perché la parola di Paolo, anche se nata in un contesto preciso, giudaico, sarà una parola che dovrà solcare il tempo, come a dire: Attenti che questo pericolo ci sarà sempre! Perché ci sarà sempre qualcuno, qualcosa che negherà la Signoria di Gesù.
Se ci guardiamo attorno, anche oggi esiste questo pericolo, diffuso continuamente. E’ facile guardare alla croce di Gesù, come ad un oggetto sacro, un oggetto di culto. Peccato, però, che, il più delle volte, la cosa finisce lì! Attenzione, teniamo presente che le prime comunità cristiane non hanno mai usato il crocifisso come simbolo! Loro simbolo era il Signore risorto! Quindi, teniamo presente che questo modo di interpretare la crocifissione, la riduce ad una mentalità oggettistica, forse addirittura dimostrativa, trattata in modo molto superficiale! In effetti, se andiamo ad analizzare il contesto cristiano, dobbiamo osservare i cristiani e chiederci: Sono ancora pronti a combattere per difendere la Signoria di Gesù? Oggi è ancora importante difendere questa Signoria? Oggi, quando si parla della croce, se ne parla allo stesso modo con cui Paolo ne ha parlato?
No, dobbiamo dirlo apertamente! No, perché il pericolo di allora si è insinuato! Noi abbiamo il culto di questo oggetto, la croce di Gesù, ma la trattiamo solo come un oggetto, come un qualcosa di scaramantico, di protettivo, portatore di una protezione che non ha niente a che vedere con la fede, ma che ha del magico. E questo perché la nostra vita non corrisponde!
Noi guardiamo la croce, ma, da quella croce, non tiriamo fuori la Signoria di Gesù! Non è più un argomento che ci interessa!
Ecco perché l’invito di Paolo è così attuale: "Molti sono diventati nemici della croce".
Ripeto: anche se noi adesso lottiamo perché la croce sia visibile, perché la croce ci sia, attenzione, che possiamo diventare lo stesso nemici della croce, perché la riduciamo soprattutto ad una questione di esteriorità e non capiamo più il messaggio della Signoria di Gesù, che vi è legato.
Certo, io devo guardare la croce, ma, mentre la guardo, devo capire e fare il mio atto di fede, dicendo: Quella croce che cosa mi dice? Mi parla dell’incapacità degli uomini a capire il mistero di Gesù! La croce deve essere continuamente per noi un interrogativo: Ma noi crediamo? Ma noi siamo capaci di andare oltre a questa croce? Siamo capaci di capire che questa croce è il segno della Signoria di Gesù? Oppure ci fermiamo lì? Allora, se è vero che per noi la croce è il richiamo a questa Signoria di Gesù, allora deve diventare vera anche un’altra cosa, quella che Paolo dice: "Io continuo, nel mio corpo, le sofferenze del Cristo", cioè, praticamente, in noi continua la crocifissione di Gesù!
Ma, in che modo continua? Quando la vita di Paolo, la nostra vita, diventa la continuazione della crocifissione di Gesù?
Quando abbiamo il coraggio di vivere in modo coerente al Vangelo di Gesù, in mezzo ad un mondo che non ci vuole.
Paolo, tutte le volte che annuncia il Vangelo, tutte le volte che vive secondo il Vangelo, deve scappare, viene picchiato, talvolta lasciato quasi morto, imprigionato, perché in lui continua la croce di Gesù. Lui ci crede in quella croce, non come il supplizio di un bestemmiatore, ma come il Figlio di Dio che non è stato capito! In quella croce c’è tutto l’annuncio del mistero di Dio e Paolo lo capisce, quando incontra il Risorto, quando ha la certezza della Resurrezione!
Ora, noi cristiani, noi credenti, a che cosa abbiamo creduto? E’ ovvio che se ci è stato annunciato il Vangelo e se noi impostiamo la nostra vita sul Vangelo, vuol dire che noi abbiamo creduto al Risorto, perché il Vangelo è il Risorto che sta ancora in mezzo a noi e la Sua Parola è comunicazione del Suo Spirito.
Allora, se noi cristiani siamo stati chiamati dal Risorto, perché siamo stati chiamati dalla Sua Parola viva, noi dobbiamo diventare capaci di capire il mistero della Croce. Dobbiamo capire che quella Croce è importante, perché è la prova con la quale davvero quel Gesù non capito, non compreso, è comunque colui che ha in sé il mistero di Dio.
Quella Croce diventa regola della nostra vita! Se viviamo il Vangelo di Gesù, se viviamo la presenza del Risorto, non pensiamo di essere graditi agli uomini, non pensiamo di essere ammirati dagli uomini! Non pensiamolo! Perché se noi davvero accogliamo il Risorto, anche per noi avverrà lo stesso evento: dovremo passare attraverso la croce!
Perché? Perché, se viviamo secondo il Risorto, viviamo in modo che gli altri non ci possono accogliere! Abbiamo sentito la definizione del mondo, data da Paolo: "Il loro Dio è il ventre".
Cosa significa questa espressione? Questa espressione significa che i più non hanno la forza di cogliere la rivelazione di Dio, ma riducono Dio ad una mentalità umana; hanno, in un certo senso, materializzato Dio e quindi non sono in grado di cogliere la rivelazione.
Chi ha fatto l’azione di materializzare Dio? La Legge. Sembra incredibile, ma in effetti la Legge materializza, perché ha potere solamente sui fatti, sulla realtà. Quindi la Legge non è capace di andare oltre, non ci apre lo Spirito, per cui il "ventre" diventa l’elemento caratterizzante la vita umana, terrena, materiale dell’uomo. "Per ciò, è chiaro – dice Paolo – che se noi viviamo il Vangelo e viviamo perché abbiamo avuto la conoscenza del Signore Risorto, quindi viviamo secondo una realtà che va oltre, il mondo non ci capisce, ci rifiuta, addirittura può anche perseguitarci! Ma questo è il valore della nostra fede, perché ci fa passare attraverso la croce, quella croce che continua la croce di Gesù!", allora siamo veramente credenti.
Infatti, nelle Beatitudini, Gesù lo dirà:" Beati voi quando vi perseguiteranno, vi insulteranno, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia e del Vangelo".
Sentite la Rivelazione che ci espone alla croce? Però "Beati voi!", perché quella è la prova della fede, dove la persecuzione non è tanto il fatto che dobbiamo diventare tutti martiri, perché uccisi, mi raccomando!
La persecuzione è la difficoltà a relazionarci con questo mondo, secondo i criteri dettati dal Risorto e dal Suo Vangelo!
Questa è la persecuzione: il mondo non ci vuole, non ci capisce, non ci soccorre, non ci aiuta, perché decidiamo di vivere solamente in obbedienza al Risorto. Perché? Certo, perché Lui è il Signore e noi di questo siamo sicuri, perché solamente in Lui abbiamo la certezza di stare con Dio. Tutto il resto ce ne allontana.
Questo è l’invito di Paolo che si conclude con un’altra raccomandazione: "State saldi nel Signore", non abbiate paura, perché, se anche voi dovrete patire per la coerenza al Risorto, è la strada giusta, è la "croce" che è la continuazione della croce di Gesù. Questa è la strada che vi garantisce di essere nella verità: Beati voi….
Anche noi cogliamo questo messaggio che vuol essere la continuazione del nostro cammino quaresimale, quel cammino che deve plasmare il nostro "segreto". Tutto questo che abbiamo detto, è chiaro che deve avvenire dentro di noi.
Perché? Perché il riconoscere Gesù come il Signore è un’esperienza nostra, interiore, è una decisione nostra, una volontà nostra. Quindi il nostro "segreto", se deve essere davvero sempre il luogo dove noi sentiamo la presenza di Dio, deve compiere questo passaggio, deve entrare in questa conoscenza.
Ma, se fa questo passaggio, diventa vigilante, cioè ci guida a tenerci lontani, come dice Paolo, "da tutti quelli che si comportano come nemici della croce" …. E, ripeto, oggi ce ne sono tanti! Perché non basta non dire qualcosa contro la croce! Essere "nemici della croce" vuol dire non accettare che proprio Lui, quel Gesù morto in croce, è l’unica certezza di Dio.
Se non si ammette questo, mi dispiace, ma si è nemici della croce! Perché, per farci capire questo, Gesù ha dato la Sua vita, è morto per svelare all’uomo la Sua Signoria. E, se non si accetta questa Signoria, si nega la morte di Gesù, si nega il Suo sacrificio, la Sua crocifissione!
Dobbiamo fare molta attenzione a questi passaggi, che, oggi, sono molto, ma molto diffusi.
Ripeto, fin che si parla di Gesù che fa i miracoli, che guarisce, che fa questi segni… fin che si parla di Gesù in questo modo, si riesce ad affascinare tutti. Quando si comincia parlare di Gesù crocifisso, il fascino diventa minore, anche perché chi ci parla di questo Gesù, crocifisso, non cerca l’approvazione della gente. Chi ci parla di Gesù crocifisso non cerca la gente che lo accoglie, lo applaude, lo considera. No! Ci parla, invece, della Signoria di Gesù, quella Signoria che ci costringe a dire: Guarda che solo Lui può darci la certezza di Dio, quindi ci mette in crisi, perché è come se ci privasse della libertà di decidere in che modo arrivare a Dio.
Certo, Gesù è costringente ed è questa costrizione di Gesù che è l’annuncio della croce …però la croce, oggi, è decisamente rifiutata!
Infatti, oggi, come si deve fare per far accettare Gesù? Si deve parlare di un Gesù che risponde alle problematiche del nostro tempo. Se si parla di Gesù come di colui che ha la bacchetta magica, che ci indirizza, che ci fa capire come fare per trovare la soluzione dei nostri problemi, allora questo è il Gesù che piace a tutti! Se si parlasse di Gesù in questo modo, cosa credete, che questa chiesa sarebbe così? No, sarebbe strapiena, ma di chi? Di quelli che hanno come Dio "il loro ventre", cioè di quella gente che ha di Gesù una visione che non c’entra proprio niente con il mistero della Sua Signoria.
Questa è un’altra prova della croce. Se parliamo di Gesù nell’ottica di annunciarlo come il Signore, non ci ascolta nessuno… "perché con tutti i problemi che abbiamo…", si vuole parlare della Signoria di Gesù?
E’ molto meglio parlare di un Gesù, attento alle problematiche degli uomini! Certo, parliamone pure, però quando si arriva alla croce, diventa noioso, diventa un argomento fuori dal tempo!
Che cosa guida oggi la vita dell’uomo? La preoccupazione del ventre, cioè le problematiche terrene! Questo è il ventre degli uomini!
Purtroppo, però, questo infierisce anche nella mentalità della Chiesa! Oggi la Chiesa vive questa realtà, la realtà di molti che sono nemici della croce. Infatti, nella Chiesa di oggi, qual è l’elemento che va più in crisi? Proprio questo: Gesù è Signore! Perché questo elemento è quello che dà problemi:
Se si dice che "Gesù è Signore" si scatena il rifiuto, la gente non ti applaude più, non ti ammira più, finisce tutto… perché la Signoria di Gesù ti vuole condurre a capire che ciò che conta non è la soluzione ai tuoi problemi, ma è il non perdere di vista la comunione con Dio. Ed è solo se siamo in comunione con Dio in tutto il nostro essere, nella nostra cultura, nel nostro ambiente, che, in tutta la nostra realtà, potremo godere la Sua benedizione, così i problemi si risolveranno, ma non perché li abbiamo risolti noi! Prima i problemi c’erano perché noi mancavamo di luce, non capivamo, perché dentro non avevamo più la sapienza, la saggezza. Allora è vero che i problemi li risolveremo, ma non saremo noi a risolverli: saremo noi perché illuminati dalla sapienza, dalla conoscenza. Solo allora la nostra storia cambierà! E’ la benedizione di Dio. Però il passaggio fondamentale è quello, la comunione con Dio, che passa solo attraverso la Signoria di Gesù.
Paolo ci dà questo consiglio: "Siate miei imitatori!", cioè anche voi fate questo salto dentro di voi, non lasciatevi condizionare da quei molti che si comportano come "nemici della croce di Gesù"